Di Hackman, trovato morto oggi con la moglie a 95 anni, si disse che, come Dustin Hoffman, non era adatto ad avere successo. Un talento mal giudicato che nel 1971 ottenne l’Oscar come protagonista con “The French Connection” e fu così definitivamente consacrato
Prima l’arruolamento nei Marines, poi la recitazione. Gene Hackman e Dustin Hoffman furono giudicati “i meno adatti ad avere successo”, quando insieme studiavano alla Pasadena Playhouse (nei decenni precedenti, nota come la “fabbrica delle star”). Il naso era in effetti ragguardevole, assieme alla corporatura sembrava indirizzare Eugene detto Gene verso ruoli da caratterista. Quei tipi di cui non sappiamo mai il nome.
Un po’ di televisione, un po’ di palcoscenico, e Arthur Penn lo sceglie per il ruolo di Buck Barrow, il fratello di Clyde Barrow in “Gangster Story”: le imprese della coppia Bonnie & Clyde (galeotto fu Warren Beatty, che con Gene Hackman aveva già lavorato). Prima candidatura all’Oscar come attore non protagonista. Non certo un’entrata dalla porta di servizio. Era il 1967: l’altro talento mal giudicato (in altri anni anche lui sarebbe stato avviato a ruoli minori) stava trionfando con “Il laureato”, a fianco a di Anne Bancroft e diretto da Mike Nichols.
L’Oscar come protagonista arriva nel 1971, con “The French Connection”. Il titolo italiano – ormai consumato, perché usato troppe volte a sproposito – era “Il braccio violento della legge”. Per il ruolo di Jimmy Doyle detto “Popeye” – “papà” nel doppiaggio italiano, sono delitti che non devono restare impuniti – entra in scena Hackman vestito da Babbo Natale. Barba bianca e giacca rossa, per meglio sorprendere e arrestare i cattivi del narcotraffico. Non sempre ci riesce, assieme al collega Roy Scheider. Ma non ha paura di infrangere le regole, né di procurare qualche danno collaterale. L’inseguimento dei marsigliesi e del loro carico di eroina resta una delle scene memorabili – di tutto il cinema d’azione. William Friedkin sapeva quel che faceva.
Entrato in serie A, in “Frankenstein Junior” di Mel Brooks ha la parte dell’eremita cieco Abelardo. Versa la zuppa bollente fuori dalla scodella della creatura affamata, gli brucia un pollice credendolo un sigaro, e quando l’ospite mugolando scappa gli dice: “Ma dove vai, volevo offrirti anche una sambuca!”. “La conversazione” di Francis Ford Coppola è dello stesso anno, nel 1974 vinse la Palma d’oro a Cannes. Gene Hackman è Harry Caul, investigatore privato piuttosto paranoico e amante del jazz, per caso registra a Union Square una conversazione che non avrebbe mai dovuto sentire. Ripulita dal rumore di fondo, si distingue la frase: “Ci ammazzerà se gliene diamo l’occasione”.
I fan hanno le loro scene preferite. A noi è particolarmente caro un dialogo in “Bersaglio di notte”, altro film di Arthur Penn. Hackman è un ex sportivo in pensione ora investigatore privato, sembra incredibile ma una donna lo invita fuori. A vedere un film di Éric Rohmer. Risposta garbata, ma ferma: “Ho visto un film di Rohmer, una volta. Era come vedere la pittura asciugare”. Sistemato per sempre, è perfino meglio del domestico “così lento che si vede crescere l’erba”.
Monossido di carbonio, suggerisce la figlia. In effetti, Mr. Hackman è stato trovato morto assieme alla moglie pianista (di trentuno anni più giovane) e al cane. Singolare formazione per un suicidio. Da un bel po’ aveva smesso di recitare, e si era messo a scrivere romanzi storici. Gliel’aveva suggerito il dottore, colpa del cuore ormai indebolito, meglio non metterlo alla prova sotto stress. Un po’ di voglia però gli era rimasta, magari per un ruolo tranquillo come nei “Magnifici Tenenbaum”. Glielo avevano chiesto, una decina di anni fa. Risposta: “Certo che farei un altro film. Se venissero a casa, due o tre persone, senza mettere troppo in disordine”.