Sette anni dopo il disastro ferroviario, il Tribunale ha assolto Rfi come società e i manager coinvolti, dall’ex amministratore delegato Maurizio Gentile in giù. Il rischio del populismo giudiziario
Sette anni fa il disastro ferroviario di Pioltello, 25 gennaio 2018; nel deragliamento di un treno regionale Cremona-Milano morirono tre donne e ci furono oltre 200 feriti. Martedì, la sentenza di primo grado ha clamorosamente smentito l’impianto accusatorio della procura di Milano, basato in sostanza sulla responsabilità oggettiva (responsabilità amministrativa per Rfi-Rete italiana ferroviaria). I pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti avevano chiesto condanne esemplari, con pene fra i 4 anni e i 7 anni e 10 mesi. Il Tribunale ha invece assolto Rfi come società e i manager coinvolti, dall’ex amministratore delegato Maurizio Gentile in giù.
Condannato solo il tecnico Marco Albanesi, 5 anni e 3 mesi, che guidava l’Unità manutentiva di Brescia, ritenuto responsabile di disastro ferroviario, omicidio e lesioni. Per il tribunale, evidentemente, non ci sono riscontri oggettivi sulle responsabilità apicali. Per i sindacati (“l’unico giudicato colpevole è l’ultimo della catena, è una cosa che ci fa riflettere”) l’assoluzione dei vertici dell’azienda pone il rischio che “qualcuno pensi che andava tutto bene, che non sia successo nulla”. No, questo le pensa solo che si muove in una logica di populismo giudiziario.