È l’unica persona di cui tutti gli italiani, tutti i giorni, hanno qualcosa in tasca o tra le mani e non lo sanno. Laura Cretara, romana, medaglista e scultrice ha realizzato la faccia nazionale della moneta da un euro con l’uomo vitruviano
È l’unica persona di cui tutti gli italiani, tutti i giorni, hanno qualcosa in tasca o tra le mani e non lo sanno. Laura Cretara, romana, medaglista e scultrice ha realizzato la faccia nazionale della moneta da un euro con l’uomo vitruviano, per cui fu insignita del titolo di commendatore al merito della Repubblica. La “signora delle monete”, come la chiamano i numismatici, è stata anche artefice di altre celeberrime creazioni tra cui le 500 lire coniate dalla Zecca nel 1981, prima moneta di circolazione bimetallica al mondo; e poi il dritto delle 100 lire del ’93, delle 50 lire del ’96 e una lunga lista comprensiva di pezzi commemorativi e medaglie.
La sua scultura più nota, intitolata alla Pace, è nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York. A Roma ha coordinato la realizzazione della replica del Marc’Aurelio per la piazza del Campidoglio e del monumento equestre al Carabiniere in piazza del Risorgimento.
Quando maneggia le monete da un euro che effetto prova?
Le monete sono come i figli, le fai e poi se ne vanno in giro per conto loro. È naturale che chi le usi ne consideri il valore economico, ma se guardiamo alla valenza artistica ciascuna moneta esprime l’identità di un territorio, di una cultura nazionale. L’uomo vitruviano testimonia l’orgoglio di essere italiani per i suoi moltissimi significati che riguardano le proporzioni, la misura e la bellezza. Oserei dire che ha qualcosa di magico. Poi, certamente, un euro serve a comprare il pane o il latte.
Qual è la regola aurea per realizzare una moneta?
Una moneta da collezione può rispondere a un criterio selettivo, mentre l’immagine su una moneta di circolazione deve parlare a tutti. In generale occorre un equilibrio tra il pieno e il vuoto e la giusta proporzione con gli spazi, che contano quanto la forma che vi viene incisa. È una sfida, perché bisogna pensare in grande per esprimere l’idea nel piccolo di una moneta. Quando riguardiamo quelle dell’antica Grecia ci rendiamo conto che erano vere opere d’arte.
Come nasce un progetto? Cosa le ispirò, per esempio, la testina alata sulle 500 lire?
Il lavoro su una moneta bimetallica è sempre più faticoso, schizzai tanti disegni e alla fine m’ispirai a due versi di Francesco Dall’Ongaro: “Ha due ali il mio pensiero, l’una è il bello e l’altra il vero”.
Qual è stata la sua prima moneta?
Le mille lire d’argento per Roma capitale nel 1970. Ne vado fiera perché è stata la prima moneta in Italia incisa da una donna. Lavoravo alla Zecca in un ambiente all’epoca assolutamente maschile e dovetti lottare per farmi spazio tra gli uomini. Venni a sapere per caso, solo il giorno prima, di un concorso interno per il rovescio di quella moneta. Lavorai tutta la notte e scelsi l’immagine della pavimentazione michelangiolesca del Campidoglio. Al mattino consegnai il disegno e il ministro lo scelse subito. Fu una doppia soddisfazione.
Come diventò incisore della Zecca?
Mentre studiavo all’Accademia di Belle Arti seppi che c’era un concorso, ma si trattava quasi di una scommessa: sembrerà assurdo, ma non mi volevano ammettere perché tra i requisiti c’era quello di avere adempiuto agli obblighi di leva. E poi partecipavano anche operai interni, che già conoscevano il mestiere. Le prove furono durissime, mi tritai le mani ma riuscii. Che gusto: ero la più giovane, avevo il fisico di uno scricciolo e nessuno ci avrebbe creduto. Era il 1961. Sono stata un’apripista per le donne.
Quando aveva cominciato a incidere?
Piccolissima. Mio padre Francesco fu il primo maestro: pittore, incisore, fotografo. Era un grande artista. Aveva lo studio in casa e io dormivo nella stanza dove c’era il torchio a stella. Lo osservavo mentre operava e cercavo di imitarlo. Quando mi facevo male maneggiando il bulino mi rincuorava dicendo che da quelle ferite entrava il lavoro. A sei anni incisi una testina di bambina meravigliosa, al punto che chi la vide pensava fosse opera di mio padre. Purtroppo l’ho perduta, e chissà quanto darei per ritrovarla.
Si sentiva una bambina prodigio?
Mi sentivo sola: quando la maestra alle elementari mi mise in cattedra a disegnare davanti ai compagni di classe non provai un senso d’orgoglio, ma di esclusione, che mi avrebbe accompagnato per moltissimo tempo. Non era la solitudine dell’artista che si apparta con i suoi pensieri, ma di una bambina che si sentiva diversa. Nell’adolescenza la passione per l’arte sembrò attenuarsi e mio padre pensava che non avrei più seguito quella strada, invece superai a sua insaputa l’esame di ammissione al liceo artistico e ne fu felice, ma mi ha sempre lasciato libera. Se discutevamo era per divergenze di opinioni su una sinfonia musicale o su un poeta.
Qual è l’insegnamento più prezioso che le trasmise?
Oltre alle tecniche, la capacità di osservare le cose.
Lei ha insegnato alla Scuola dell’arte della medaglia, che ha diretto dal 1976 al 2004. Cosa fa un buon docente?
È esigente, anche duro, ma senza mai umiliare gli allievi. Spesso gli insegnanti trascurano gli aspetti umani, invece occorre dare fiducia. Se dici a uno studente: “così non va”, devi aggiungere sempre “ma so che tu ce la puoi fare”.