Il mercato culturale di massa è una minaccia costante per la democrazia, la quale non può alimentarsi di quella stupidità favorita dalle forme culturali più rozze
Succede non di rado che ottimi e stimati scienziati sociali di sinistra sbaglino sulle previsioni e si trovino di fronte all’improvviso a qualcosa di non calcolato, a una specie di “materia oscura” sociale da cui emergono inaspettatamente le nuove destre. Perché questo? Credo perché (è il mio chiodo fisso) le culture della sinistra, da mezzo secolo in qua, ragionano di politica ma non percepiscono abbastanza la società e le sue trasformazioni. Se personalmente non frequento la sinistra, i suoi circoli e circoletti, è perché non capisco molto la politica, diffido di coloro che ce l’hanno stabilmente nella testa, mentre la gente che si incontra per caso mi colpisce e mi incuriosisce.
Sto pensando a quello che dice il politologo americano Michael Walzer nell’intervista con cui si apre l’ultimo numero di Una città (il numero 306) a proposito di “cosa sta succedendo” (è già successo) negli Stati Uniti con l’elezione di Trump. Ripetutamente Walzer ammette che “non sa cosa pensare”, non sa darsi una spiegazione e non capisce come mai il popolo americano non ha capito le buone politiche economiche e industriali di Biden, un presidente “socialdemocratico” che molto probabilmente sarà più apprezzato in futuro. Walzer dice che Trump ha vinto nei social media e lui non guarda i social media. Ha vinto nella classe operaia maschile con il suo machismo, mentre le donne “avrebbero potuto salvarci ma non erano abbastanza”. Insomma “è difficile capire dall’esterno che cosa succede nel mondo di Trump”.
Proprio così, il mondo di Trump, cioè il suo elettorato, viene guardato “dall’esterno” da chi è di sinistra, cosa comprensibile. Meno comprensibile è però che un filosofo sociale e politico non si sia reso conto di come ragiona o preferisce non ragionare la cosiddetta gente comune che fa la maggioranza. Che le élites intellettuali e i professori universitari vivano lontani dalla maggioritaria gente comune è ovvio. E’ però un grave difetto intellettuale che le élites non si rendano conto delle dimensioni a cui arriva la cultura e la mentalità di massa. Quando in una democrazia (e in generale nelle democrazie) la massa non capisce e non apprezza abbastanza la democrazia in cui vive e la sua cultura, allora non c’è scampo. Più sostanzialmente: quando troppo a lungo nelle democrazie non c’è giustizia economico-sociale, allora quell’ingiustizia produce elettorati che votano contro l’ipocrisia di democrazie che tali sono a parole ma non di fatto.
C’è poi l’effetto sociale dovuto alle grandi migrazioni. Niente di particolarmente nuovo. L’occidente europeo e americano ha cominciato a spostarsi verso destra soprattutto a causa delle ondate di migranti provenienti senza sosta dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa orientale ex comunista verso l’Europa dell’ovest; dal Messico confinante e da tutto il resto dell’America latina verso il Nord America.
Le sinistre hanno sempre ripetuto che si dovevano accogliere i migranti perché era xenofobia o razzismo respingerli o selezionarli. Ma accoglierli significa saperli accogliere, avere i mezzi per farlo e non trasformare i migranti in questuanti e mendicanti, umiliati e perciò pronti a caricarsi di risentimenti. Si è parlato di integrare, come se integrare culturalmente e socialmente fosse questione di pochi anni. Integrarsi significa assumere e fare propri i valori, i comportamenti, le regole delle società nelle quali si emigra. Non è facile, è difficile e a volte difficilissimo, soprattutto se non c’è stata fin dall’origine una buona accoglienza.
Facciamo il caso delle vittime del caporalato nel sud e nel nord Italia. Si tratta, come ripetutamente si è visto, di situazioni criminali di sfruttamento. Ma perché gli immigrati sopportano tanto? Evidentemente perché non trovano di meglio, non siamo stati in grado di accoglierli davvero. Succede spesso che immigrati non accolti e non integrati perdano la testa e compiano atti criminali per ragioni di disperata e patogena solitudine.
C’è infine il caso degli islamici, la cui volontà e capacità di integrarsi è insufficiente, se non nulla. Per un islamico il Corano viene prima, molto prima dei diritti dell’uomo e delle costituzioni liberal-democratiche. E questo con l’aggravante che l’islam è in prevalenza sia estraneo sia nemico dell’occidente ex colonialista. L’islamismo politico, radicale e fanatico, è già andato molto oltre: disprezza, odia e mira a combattere anche terroristicamente l’Europa. E comunque chi può credere che un islamico rispetti più il nostro presidente della Repubblica che un ayatollah? E noi possiamo pretendere che gli islamici si integrino nelle nostre società rinunciando alla propria cultura e tradizione? In che misura una società multiculturale è realmente possibile? In proposito, un idealismo universalista astratto può fare più danni di una realistica visione delle cose. Chi parla di accogliere l’altro accoglierebbe volentieri un profugo a casa propria anche solo per un mese?
Ma c’è anche la culturale subcultura che i politici di sinistra non vedono o sottovalutano. Una cultura che sembra non meritare l’attenzione degli intellettuali e la loro critica. Negli ultimi decenni del Novecento, anzi, non sono stati pochi gli intellettuali affascinati dalla cultura di massa e dalle sue mitologie insidiosamente penetrate nella vita quotidiana, a cominciare dall’onnipresente pubblicità. E’ la cultura che si assorbe distrattamente e che non ha bisogno di attenzione consapevole per invadere la sensibilità subliminale di chiunque. Si può sintetizzare così tutta la macroscopica faccenda del rapporto fra democrazia e cultura di massa: il mercato favorisce le forme culturali più rozze. Le forme culturali più rozze favoriscono la stupidità. La democrazia non può alimentarsi di una prevalente stupidità. Quindi il mercato culturale di massa è una minaccia costante per la democrazia.