Gli Shahed devastano palazzi, negozi, ambulatori, mentre Trump attacca Zelensky e Mosca esulta: la guerra continua senza tregua. “In Ucraina quelli che vogliono diventare dittatori non hanno una vita facile. Li cacciamo”, ci dice un abitante della città che resiste tra missili russi e voltafaccia americani
Odessa, dalla nostra inviata. L’emergenza è quotidiana. E se anche una notte si sta tranquilli, bisogna rimanere consapevoli che un attacco massiccio potrebbe avvenire in qualsiasi momento. L’esercito russo per due notti di seguito ha lanciato diverse raffiche di droni Shahed contro Odessa. Ha colpito due quartieri, Kyivsky e Peresyp, centrando anche due centrali termoelettriche che forniscono riscaldamento a circa duecentomila cittadini. Per rimettere in funzione una centrale termoelettrica ci vogliono più o meno quarantotto ore. Prima arrivano i pompieri a spegnere gli incendi, poi si valuta dove è il danno e si capisce come agire. I droni hanno distrutto anche palazzi con negozi, ambulatori e abitazioni private. Gli odessiti sono rimasti al freddo, senza luce e con le abitazioni danneggiate in un periodo in cui la temperatura scende sotto lo zero e non basta l’aria del Mar Nero a mitigare il clima. Dopo ogni attacco, al risveglio, i cittadini anche da altri quartieri vanno a controllare cosa è stato colpito, guardano la loro città cambiare, valutano la loro fortuna che consiste nel vivere in una zona sfuggita alla direzione degli Shahed e si scambiano video dei droni che illuminavano il cielo notturno. È un rito apotropaico, condotto tra molti sospiri, tra la stanchezza di tre anni di attacchi e l’incredulità di essere ancora vivi. A raggiungere i quartieri colpiti non sono soltanto i concittadini curiosi, ma anche i camioncini arancioni dell’amministrazione della città. Sono degli uffici ambulanti su cui salgono gli odessiti che durante i bombardamenti hanno subìto un danno e hanno bisogno di assistenza: vetri rotti, riscaldamento non funzionante, mancanza di luce. In alcuni punti della città, vicino alle zone colpite, vengono allestiti dei punti per ricaricare i telefoni e scaldarsi.
Gli odessiti conoscono bene il suono dei droni iraniani Shahed che si avvicinano alla città, conoscono le forme che creano durante la notte nel cielo quando sono inseguiti dalla contraerea che riesce ad abbatterne la maggior parte, ma si rendono conto che i danni stanno aumentando perché le difese dell’Ucraina sono sempre meno e Donald Trump non è la garanzia di un futuro di protezione. Mercoledì il presidente americano ha attaccato Volodymyr Zelensky. Gli ha dato del “comico mediocre”, del dittatore, e ha detto che i negoziati per la pace stanno andando avanti con successo, accusandolo di volerli fermare.
Gli attacchi notturni contro Odessa, una delle città che il Cremlino avrebbe voluto occupare nei suoi piani originari falliti nel 2022, dimostrano invece che la pace non si sta avvicinando, che anzi Putin si sente più forte e più impunito e continua a colpire senza dare riposo neppure a una città ben lontana dal fronte. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dopo lo spettacolo offerto dal presidente americano, ha detto che Mosca e Washington sono assolutamente d’accordo e pensano entrambe che la pace vada raggiunta attraverso il negoziato. Con sarcasmo ha aggiunto che dalla Russia si nota un certo disaccordo tra gli Stati Uniti e l’Ucraina. Sul campo di battaglia Mosca non negozia, attacca tutto il territorio e accelera lungo la linea del fronte, mentre osserva lo spettacolo di una Casa Bianca che non soltanto ha fretta di arrivare a un accordo per far finire la guerra, ma sostiene anche la strada della resa e dell’umiliazione degli ucraini e del loro presidente. Nel 2019, quando ci furono le ultime presidenziali in Ucraina, Zelensky vinse in quasi tutte le regioni e Odessa non aveva fatto eccezione. Piaceva questo presidente che parlava di pace, giovane, che diceva di voler unire il paese e farlo uscire dalla guerra. Da città con le idee chiare e l’identità sicura Odessa non ha gradito che Zelensky portasse avanti alcune idee della vecchia guardia, condividesse l’idea di rimuovere nomi di strade e monumenti perché collegati all’occupante russo e da sostenitore del multilinguismo della nazione aveva invece perseguito l’ucrainizzazione voluta dal predecessore Poroshenko. Si era disamorata del presidente, ma le parole di Trump hanno comunque dato fastidio. Anna è in fila di fronte al camioncino arancione dell’amministrazione cittadina, la sua casa è stata danneggiata dai bombardamenti, ha passato la notte a mettere coperte ovunque: “Putin ci attacca e Trump non vede. Dovrebbe averlo capito che Zelensky non è un dittatore, in Ucraina quelli che vogliono diventare dittatori non hanno una vita facile. Li cacciamo”. Lo dice con fierezza e ci tiene a sottolineare: “Sono i russi quelli che si fanno andare bene Putin da vent’anni. Forse Trump si è sbagliato”.
In questi giorni, è a Kyiv l’inviato speciale per l’Ucraina e la Russia, il generale Keith Kellogg che ufficialmente rimane insignito del suo ruolo, ma è stato escluso dagli incontri di Riad e non ha mai avuto l’occasione di presentare il suo piano di pace. Kellogg conta poco, ma è il tramite più vicino a Trump che oggi Zelensky ha a disposizione. Il presidente ucraino ha mostrato al generale cos’è la guerra russa contro l’Ucraina. In diverse occasioni ha insistito sulla natura degli Shahed, i droni che hanno colpito Odessa e sono iraniani.