Merz e l’urgenza di curare il male tedesco e quello europeo. Un altro attacco in Germania

Alla vigilia delle elezioni, un uomo è stato colpito con un coltello al memoriale dell’Olocausto a Berlino. Il candidato conservatore guida la corsa alla cancelleria ma il paese è diviso tra il bisogno di stabilità e la crescita dell’estrema destra. Le dimensioni contano ma non sempre

“Le dimensioni contano”, titola malizioso l’Economist fotografando gli ultimi attimi della campagna elettorale tedesca, deturpata ancora una volta, da un attacco, questa volta con il coltello, al memoriale dell’Olocausto di Berlino. La settimana scorsa un’auto sulla folla a Monaco, prima sempre in Baviera, ad Aschaffenburg, un uomo con il coltello, a Natale un’auto sul mercatino di Natale. Insicurezza, violenza, insofferenza nei confronti degli immigrati, in un paese economicamente fermo, sono diventate il sottofondo elettorale, pauroso.

Si vota il 23 febbraio, dopo tre mesi scarsi dalla caduta del governo attuale di Olaf Scholz, e gli unici movimenti rilevanti nei sondaggi si registrano in basso, attorno alla soglia di sbarramento (al 5 per cento) perché, per come è fatto il sistema tedesco, se in Parlamento entrano quattro partiti o sette, la formazione dell’inevitabile coalizione di governo cresce di complessità. A gestire le trattative sarà con tutta probabilità Friedrich Merz, candidato conservatore dell’Unione (Cdu/Csu), solidamente avanti nei sondaggi al 30 per cento circa, ma a seconda dei risultati dei tre partiti attorno alla soglia di sbarramento – la Linke in risalita attorno al 7, il Bsw di Sahra Wagenknecht al 5 e i Liberali al 4 – potrà lavorare a una coalizione a due (con i socialdemocratici: l’usato garantito merkeliano della grande coalizione), più agile e più efficace, o a tre (con anche i Verdi), con l’esperienza fresca dell’attuale governo-semaforo a far crollare l’entusiasmo.

Le dimensioni contano ma non sempre: l’estrema destra dell’AfD, che è salda al secondo posto con quasi il doppio dei consensi del 2021 (oggi è al 20 per cento), se le rilevazioni saranno confermate, non farà parte di nessun negoziato e di nessuna coalizione di governo: c’è stato un gran panico sulla possibilità che, avendo votato assieme all’estrema destra una mozione sulla legge dell’immigrazione, Merz potesse far crollare il muro storico contro l’estrema destra, ma speculazioni a parte, il candidato conservatore, dopo averci messo più di vent’anni ad arrivare fin qui, a un passo dalla cancelleria, non vuole certo essere quello che tira giù il pilastro della Germania del Dopoguerra (molti avevano parlato della “fine di Merz”, ma nei sondaggi non ha perso niente, così come l’AfD non ha guadagnato niente dalla campagna a suo favore dei trumpiani Elon Musk e J. D. Vance: semmai quel voto ha risvegliato gli elettori della Linke, e questo ha un impatto serio sul negoziato per la coalizione di governo). Semmai Merz vuole essere quello che traghetta il paese fuori dalla recessione, che alleggerisce la burocrazia, che taglia le tasse, che ricomincia a esercitare un ruolo di leadership in Europa (alcuni sostengono che lo possa fare quasi più in asse con la Francia di Emmanuel Macron che con la sua compagna di partito, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, con cui c’è qualche dissapore) ora che la promessa di autonomia e di sicurezza dell’Ue deve diventare realtà per non rimanere stritolati tra Donald Trump e Vladimir Putin.

Il male tedesco non è soltanto la sua stagnazione economica, ma è una stagnazione culturale e sociale, scandita dalla violenza, che si manifesta con una contraddizione: la paura del cambiamento s’accompagna con la furia di chi vuole spaccare il sistema (che fa grande l’AfD). A Merz è richiesto di vincere le elezioni, di formare un governo stabile (lui dice che lo farà in un mese, tutti parlano di aprile o maggio) e soprattutto di dare forma all’urgenza di risvegliare la Germania e l’Europa, insieme.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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