Delmastro condannato. Storia di un autocomplotto politico

Otto mesi (pena sospesa) al sottosegretario alla Giustizia, che non si dimette. La premier Meloni lo blinda. Il governo attacca: “Sentenza politica”. Ma più che a un complotto dei magistrati si è assistito a un autocomplotto della politica

Condannato in primo grado a otto mesi (pena sospesa) dal tribunale di Roma per violazione di segreto d’ufficio sul caso Cospito, contro la richiesta di assoluzione avanzata dai pm, il sottosegretario Andrea Delmastro rispetta l’annuncio fatto due settimane fa al Foglio: “Non mi dimetto”. Poi attacca: “Una sentenza politica! Vogliono dire che le riforme si devono fermare? Hanno sbagliato indirizzo!”. Delmastro incassa subito la solidarietà del Guardasigilli Nordio, che si dice “disorientato e addolorato” dalla condanna. Poco dopo arriva la blindatura della premier Meloni: “Il sottosegretario rimane al suo posto”. Ma la premier va oltre, definendosi “sconcertata per la sentenza di condanna”: “Mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione”. Parole destinate a far schizzare alle stelle il livello di scontro con la magistratura.

In precedenza, i partiti di opposizione avevano chiesto uniti le dimissioni del sottosegretario. Elly Schlein si era rivolta proprio a Meloni: “Lo faccia dimettere”. Invito rinviato al mittente.

Gli esponenti di Fdi seguono in massa la strategia dell’attacco alle toghe, bollando la sentenza come “esclusivamente politica”. Anche l’altro sottosegretario (leghista) alla Giustizia, Andrea Ostellari, esprime solidarietà al collega. “Andiamo avanti insieme”, dice il viceministro forzista Francesco Paolo Sisto.

Resta in silenzio Giovanni Donzelli, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, amico nonché coinquilino di Delmastro. Fu lui a far esplodere il caso che poi ha portato il suo collega di partito a processo. Il 31 gennaio 2023, infatti, Donzelli intervenne alla Camera rivelando il contenuto di alcune informative del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) su colloqui avvenuti in carcere tra l’anarchico Alfredo Cospito e due mafiosi al 41 bis, lanciando una dura accusa contro i parlamentari del Pd che avevano incontrato in carcere l’anarchico, all’epoca in sciopero della fame: “Voglio sapere se la sinistra sta dalla parte dello stato o dei terroristi con la mafia!”. I colloqui di Cospito erano contenuti in atti che erano stati richiesti dal sottosegretario Delmastro e che erano classificati come “a limitata divulgazione”, cioè non sarebbero dovuti uscire dal ministero della Giustizia.

Inizialmente la procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine, ritenendo oggettiva la violazione del segreto ma che non ci fossero prove sull’elemento soggettivo, cioè sul fatto che Delmastro fosse consapevole dell’esistenza del segreto. Il gip non aveva accolto la richiesta e aveva ordinato l’imputazione coatta per il sottosegretario.

Che l’assoluzione nei confronti di Delmastro non fosse cosa scontata, come molti nella maggioranza e nel governo pensavano, lo si era capito osservando gli sbuffi con cui il presidente del collegio giudicante, Francesco Rugarli, ha di volta in volta reagito alle testimonianze ascoltate in udienza. Che rappresentavano un sottosegretario dalla memoria infallibile sui contenuti delle relazioni “a limitata divulgazione” ricevute dal Dap sui colloqui di Cospito al 41 bis, ma allo stesso tempo inconsapevole che quelle informative fossero da ritenersi segrete.

Ascoltato al processo, infatti, Donzelli ha affermato che Delmastro lo informò sui colloqui di Cospito in Transatlantico, la mattina del suo intervento alla Camera, e ha escluso che il sottosegretario gli abbia mostrato documenti. In altre parole, Delmastro andò a braccio. Peccato che le parole poi pronunciate in Aula da Donzelli furono esattamente coincidenti, persino negli avverbi, con quelle contenute nella relazione inviata dal Dap al sottosegretario.

Il carattere segreto delle relazioni del Dap è stato invece confermato al processo da ben due ex capi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: prima Giovanni Russo (“Le relazioni erano con la clausola ‘a limitata divulgazione’, quindi sarebbero dovuti rimanere all’interno dell’amministrazione”), poi Francesco Basentini (“La limitata divulgazione a maggior ragione valeva all’esterno del Dap”), quest’ultimo chiamato a testimoniare addirittura dalla difesa di Delmastro.

Insomma, dall’inizio alla fine, più che a un complotto dei magistrati si è assistito a un autocomplotto della politica.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

Leave a comment

Your email address will not be published.