Gli europei non si sono accorti dei tempi cupi a cui vanno incontro

Dai think tank alle cancellerie, non passa giorno senza che qualcuno non faccia analogie sempre meno equivocabili tra i nostri tempi e gli anni Trenta del secolo scorso. Eppure le opinioni pubbliche europee continuano a dare retta ai falsi profeti e i cantori della Nuova Era

A che punto è la notte? Esattamente otto anni fa, qui sul Foglio, mi divertii a fondare un ordine mendicante, i Frati Weimariani, con la missione di pregare senza tregua per scongiurare, o quanto meno rimandare, l’Apocalisse delle nostre democrazie. L’avessi fondato sul serio, oggi potrei contare su abbazie disseminate sui territori dell’intera Europa occidentale e confratelli in tutte le redazioni, in tutti i think tank, in tutte le cancellerie. Ormai sfogliare la rassegna stampa è l’incubo mattutino dell’uomo laico, figuriamoci del monaco: non passa giorno senza che qualcuno non ti dia la scossa mettendo in cortocircuito gli anni Venti del nostro secolo con gli anni Trenta del secolo scorso – e le analogie sono sempre più persuasive, sempre più calzanti, sempre più inequivocabili. È un trionfo della nostra predicazione, allora? Tutt’altro.

Per parlare di trionfo occorrerebbe la conversione di massa delle opinioni pubbliche europee, che invece non potrebbero essere più distanti – lo ha ricordato ieri Angelo Panebianco sul Corriere – da una consapevolezza realistica dei tempi cupi che si preparano; e che preferiscono dar credito – vuoi per pigrizia, vuoi per wishful thinking, vuoi perché di falsi allarmi ne hanno sentiti fin troppi – ai pretacchioni più rassicuranti, se non proprio ai falsi profeti o ai cantori gioachimiti della Nuova Era. Perché gli europei prendano atto del precipizio verso cui ci siamo incamminati come sonnambuli servirebbero molti anni ancora di predicazione porta a porta, ma purtroppo questo tempo non lo abbiamo a disposizione. Temo perciò che il momento temuto ci sorprenderà nella notte come un ladro. Pace e bene a tutti.

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