Seguire l’agenda di Marina Berlusconi con dieci svolte, non solo di governo

Carlo Calenda commenta l’intervista di Claudio Cerasa a Marina Berlusconi uscita nel Foglio di lunedì 17 febbraio

Ieri Marina Berlusconi sul vostro giornale ha tracciato il profilo di una posizione politica liberale, europeista, attenta ai diritti e alla crescita. Una prospettiva che personalmente condivido, nei contenuti e nella collocazione, ma che cozza con le linea politica del Governo e dell’opposizione. Parto dal governo. Di Giorgia Meloni abbiamo apprezzato alcune decisioni responsabili: 1) la linea netta nella difesa dell’Ucraina; 2) la chiusura del Superbonus e l’attenzione alla stabilità dei conti pubblici; 3) le riforme della giustizia, dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla separazione delle carriere. Ciò che manca è tutto il resto. Parto dalla questione più importante: la crescita economica. L’Italia si appresta ad entrare in recessione, i posti di lavoro creati sono di scarsa qualità, gli stipendi sono al palo, gli investimenti completamente fermi, il costo dell’energia alle stelle. È in corso un processo di radicale deindustrializzazione. Stiamo rapidamente diventando un paese di camerieri e ristoratori. Attività nobili ovviamente, ma sulle quali non si costruisce il futuro del Paese. Vuoi per l’estraneità di questi temi alla formazione politica della presidente del Consiglio, vuoi per la clamorosa inettitudine del ministro Urso, nulla sembra muoversi sul fronte della crescita e delle misure per far ripartire l’Italia. Abbiamo proposto al Governo una piattaforma di politica industriale ed energetica con spirito collaborativo e costruttivo, ma le risposte, al di là di una generica dichiarazione di disponibilità, non sono ancora arrivate. La verità è che il Governo è paralizzato un po’ perché la squadra non è all’altezza, un po’ perché Meloni vuole gestire tutto da Palazzo Chigi. Inoltre, Meloni rimane una leader di parte, che palesa ogni giorno il desiderio di parlare solo alla metà del paese che l’ha votata. I limiti dell’azione di governo, in un tornante della storia in cui tutto si fa più pericoloso e difficile per l’Italia e l’Europa, rischiano di far deragliare il Paese. Dall’altro lato l’opposizione semplicemente non esiste come alternativa di governo. Non è dato conoscere un pensiero compiuto del cosiddetto Campo Largo al netto del salario minimo e dei proclami moraleggianti praticamente su ogni argomento, dall’immigrazione all’ambiente. La sinistra si trascina da una mozione di sfiducia all’altra, perché ritiene così di poter militarizzare il proprio elettorato, nascondendo le differenze di pensiero della coalizione su qualsiasi argomento. La risposta ad un Governo indeciso su tutto dovrebbe essere un’agenda netta e un approccio chiaro e decisionista dell’opposizione, che purtroppo non si scorge. Questo eterno ritorno della politica italiana allo scontro tra fazioni, in funzione di obiettivi elettorali di brevissimo periodo, conferma il principale limite della classe dirigente politica, ovvero l’agire a prescindere dalla Storia. L’Occidente, per come lo abbiamo conosciuto dopo il 1945, è finito. Trump è un predatore che non concepisce l’idea di alleanza, ma solo di vassallaggio o aggressione. L’oligarchia che guida gli USA va d’accordo con l’oligarchia che domina in Russia, perché entrambe si nutrono delle stesse pretese imperiali per nascondere cleptocrazie affamate di denaro. La destabilizzazione del quadro geopolitico porterà inevitabilmente a una crisi economica e finanziaria. L’incertezza paralizza gli investimenti reali, mentre la deregulation finanziaria gonfia una bolla destinata ad esplodere. Un mix letale che in passato ha generato in sequenza crisi economiche e democratiche. L’Italia non è dunque in sicurezza. Ci sono due strade davanti a noi. La prima è rappresentata dal trascinarsi di questa “guerra tra i poli”, che peraltro nulla ha a che fare con le guerre che affliggono e minacciano il mondo, e con il suo assordante rumore di fondo, fino alle prossime elezioni politiche. L’esito sarà un’astensione superiore al 50% e il prevalere della richiesta di un “uomo forte” che sostituisca le istituzioni democratiche. Già oggi una rilevante parte dei cittadini vede questo come unico sbocco allo stallo italiano. La seconda opzione è il ritorno ad una politica, che eserciti le proprie responsabilità, non limitandosi a denunciare i problemi dei cittadini per lucrare su di essi una rendita elettorale, ma scegliendo come affrontarli e risolverli. La nostra opinione è che ciò potrà accadere solo attraverso la costruzione di un centro repubblicano con un’agenda chiara e un approccio decisionista. Il centro come ammennicolo di sovranisti e populisti non serve a nulla. Prova ne sia l’irrilevanza di Forza Italia, dell’ala riformista del PD e di Italia Viva nel definire l’agenda dei due schieramenti politici. Azione, unico partito che rimane saldamente al centro dello schieramento politico, lancerà a fine marzo una costituente rivolta a tutte le forze politiche, ai cittadini e alle associazioni che condividono l’analisi che ho appena fatto. Questa costituente non sarà costruita attraverso un vago appello ai cattolici, ai moderati, ai riformisti o a qualche altra categoria di politici ed elettori, ma su un’agenda precisa fondata sui punti che seguono. E’ urgente costruire un’Europa politica: il che vuol dire oggi assumersi direttamente gli oneri della difesa comune, partendo da un aumento immediato delle spese militari al 2% del PIL, con una tendenziale crescita fino al 3% nei prossimi anni. Istituzione di una Forza di reazione rapida europea di almeno centomila uomini. Risposta ai dazi americani e apertura di nuovi mercati per l’export europeo (accordo Mercosur). Completamento del mercato unico per abbattere i dazi interni di cui ha parlato Mario Draghi. Revisione completa del “green deal”. Politica industriale ed energetica che spinga gli investimenti. Industria 4.0; riforma del meccanismo di formazione del prezzo dell’energia; piano automotive; ritorno rapido al nucleare di terza generazione e costruzione di rigassificatori e termovalorizzatori (ne mancano undici in Italia), anche militarizzando i siti individuati. Autorizzazione senza VIA del repowering eolico e fotovoltaico. Salari. Istituzione del salario minimo a nove euro l’ora. Rivisitazione del meccanismo dei contratti nazionali, incentivando fiscalmente i rinnovi e il salario di produttività. Detassazione del salario dei giovani fino a trent’anni. Fisco. Aliquota progressiva alla tedesca e abolizione di tutti i regimi speciali. Sospensione di ogni condono e rottamazione. Rivisitazione delle rendite catastali. Meccanismo automatico di abbassamento delle tasse con gli importi recuperati dall’evasione fiscale (aliquota mobile). Introduzione di una tassa di successione del 20% per i patrimoni superiori ai cinque milioni di euro. Nazionalizzazione di tutte le società che gestiscono la rete idrica italiana (2.500) e successiva quotazione (modello Terna). Invasi, argini, rete saranno finanziati a RAB (Regulatory Asset Base) sulla bolletta idrica. I lavori di prevenzione e messa in sicurezza del territorio dovranno essere eseguiti senza che siano necessarie autorizzazioni delle Regioni, dei Comuni e delle Soprintendenze. Messa a gara di tutto il trasporto pubblico locale, della raccolta dei rifiuti, della gestione di altri servizi pubblici. Per comprendere il disastro di questo settore basti pensare che in Calabria le stesse società private gestiscono da ventinove anni senza gara il servizio (disastroso) di TPL, incassando centosessanta milioni di euro l’anno.

Le Regioni sono diventate centri di potere, di corruzione e di clientelismo. Occorre una profonda revisione del titolo V e una sottrazione di competenze e funzioni. Le risorse vanno reindirizzate dalle Regioni ai Comuni, che rappresentano il primo punto di contatto tra cittadini e amministrazione pubblica. Vanno subito utilizzati i poteri sostitutivi dello Stato verso quelle Regioni che da anni non raggiungono i livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria. Penso alla Sicilia dove i servizi sono disastrosi e il costo pro-capite è vicino a quello della Lombardia. La Sicilia è una regione allo sbando e l’autonomia ha solo fatto proliferare clientelismo e costi. Occorrerebbe considerare la revoca dello Statuto Speciale. Le riforme istituzionali di cui questo Paese ha bisogno non verranno mai fatte dal Parlamento. Occorre dunque eleggere con il proporzionale un’Assemblea Costituente di cento membri per riformare tutta la seconda parte della Costituzione. Scuola, sanità e sicurezza sono le tre funzioni fondamentali dello Stato. In tutti e tre i settori gli investimenti italiani sono inferiori a quelli degli altri paesi europei. Il bilancio dello Stato deve frenare la crescita della spesa pensionistica attraverso un aggiornamento costante dell’età di pensionamento e contemporaneamente dirottare tutte le risorse su queste tre priorità. In particolare vanno indentificate aree di crisi sociale complessa, dove mandare gli insegnanti più preparati e costruire reti di protezione e cura con le associazioni del terzo settore. Immigrazione. Smetterla con la retorica dei porti aperti o con le operazioni di immagine come l’Albania. La gestione dell’immigrazione deve seguire due principi cardine: controllo ferreo delle frontiere e integrazione di chi trova lavoro o studia in Italia. L’interruzione dei flussi di immigrazione illegale passa per gli accordi con i paesi africani come fatto in Tunisia e Libia. In Italia ci sono 450.000 irregolari. Dobbiamo prevedere una sanatoria aperta per chi trova lavoro e lo ius scholae per chi studia in Italia. Contemporaneamente vanno aperti almeno altri cinque centri per i rimpatri dove detenere chi commette reati o viene trovato senza permesso di soggiorno. Vanno anche considerati i rimpatri volontari incentivati che in Germania hanno funzionato bene. L’Italia deve essere un paese aperto e inclusivo, ma aberrazioni come l’ammissione a scuola di studentesse con il volto coperto non possono essere tollerate. Cultura. Siamo il paese con più monumenti e meno persone che li vistano. Manca da decenni un vero piano di valorizzazione della cultura. Noi riteniamo che insieme all’industria e al turismo la cultura sia l’altro grande driver di crescita del paese. La sua valorizzazione passa in primo luogo dalla sua conoscenza. Senza cultura non c’è identità e senza identità non esiste la Nazione. A marzo Azione presenterà un piano straordinario per la Cultura che offriremo al Governo e alle altre opposizioni. Questo è ciò che dobbiamo fare per rimettere in sicurezza il paese ed evitare derive autoritarie. Sono queste proposte a mettere Azione al centro dello schieramento politico, non posizionamenti tattici o negoziali. Per quanto ci riguarda “tireremo dritto” su questa agenda repubblicana. E se il Governo proporrà qualcosa che è in linea con essa la voteremo. E’ nostra convinzione che la crisi che si prepara renderà palese l’inadeguatezza di questa politica del rumore. In vista di quel momento bisogna rendere disponibile un’offerta democratica tosta ed efficace, per scongiurare la tentazione di ricorrere “all’uomo forte”.

Carlo Calenda

senatore, leader di Azione


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