Dostoevskij contro l’ottusità occidentale

Un’inquietante apologia dell’anima russa per spiegare la Russia agli europei, pubblicata da Aragno. Parla agli europei ma soprattutto ai francesi, ai tedeschi e agli inglesi per la disinvoltura con cui pretendono di interpretare gli altri popoli

A proposito di universalismo imperiale, mettendo da parte quello di Augusto e quello islamico e venendo alla modernità, si segnalano più recentemente quello russo e quello americano, su cui scrissi un articolo un paio di anni fa. Non si trattava di politica espansionistica e di conquista, ma di una fede intellettuale e morale che mi colpì perché formulata parallelamente da due classici ottocenteschi, nientemeno che Whitman e Dostoevskij. Secondo questi due giganti letterari particolarmente non violenti e antipolitici, l’America e la Russia esistevano per salvare il mondo dai suoi vizi e difetti nazionali.



Ora torno su Dostoevskij perché l’editore Nino Aragno ha da poco pubblicato, a cura di Lucio Coco e con il titolo Russia, uno scritto in cui l’inarrivabile narratore di Delitto e castigo e dell’Idiota parla agli europei, soprattutto ai francesi, ai tedeschi e agli inglesi, per spiegare che cosa sono i russi. Eloquentissimo e polemicissimo giornalista, Dostoevskij nel 1861 mette in piedi un’irruenta requisitoria sull’incapacità che la cultura europea dimostra ogni volta che parla di Russia. Presi di mira sono soprattutto i francesi (detestati anche da Tolstoj) per la mondana e salottiera disinvoltura con cui pretendono di descrivere e interpretare gli altri popoli.



Va senza dubbio riconosciuto che l’umanesimo europeo è stato rinnovato e quasi reinventato dagli autori di Guerra e pace e dei Fratelli Karamazov. Ma è non meno certo che il loro populismo, la loro apologia dell’“anima” russa, del carattere russo, sorprendono e possono inquietare. Perfino il loro moralismo nasce infatti dalla convinzione che in Russia ci sia e predomini un tipo umano nel quale ceti e classi sociali si incontrano in una generosità e comunicativa speciali, altrove molto più rare. Questa convinzione era e si presentava peraltro non come ideologia o filosofia, ma come una personale esperienza di vita che viene sia idealizzata che narrativamente esemplificata in diversi personaggi. E’ quello che i critici di Dostoevskij definirono “misticismo neoslavofilo”, con cui d’altra parte si arriva a profetizzare una alleanza e un destino comuni fra Russia e Germania. Nel novembre del 1877 Dostoevskij scrive sul suo Diario di uno scrittore: “In ogni caso una cosa sembra chiara e cioè che noi siamo necessari alla Germania perfino più di quanto pensiamo. E non soltanto necessari per una alleanza politica temporanea, ma per sempre. L’idea dell’unione della Germania è grande ed elevata e guarda nella profondità dei secoli. Che cos’ha la Germania da dividere con noi? Il suo oggetto è tutta l’umanità occidentale. Essa si è riservata il mondo occidentale dell’Europa, proponendosi di introdurvi i suoi principi al posto di quelli romani e romanzi e di diventarne in futuro la guida, lasciando l’Oriente alla Russia. Due grandi popoli, in tal modo, sono destinati a mutare il volto di questo mondo” (Diario di uno scrittore, Sansoni 1981, pagina 1183).



Righe che fanno venire i brividi, se si pensa a due cose. Al fatto che Il capitale di Marx fu tradotto per la prima volta in Russia e che fu la Russia a prendere in parola l’idea marxista di rivoluzione. E poi che i due totalitarismi politici che hanno devastato l’Europa nel Novecento sono stati quelli di Stalin e di Hitler, e questo nonostante sia stato Dostoevskij a diagnosticare quel male moderno che è l’“assassinio filosofico”, il delitto logico o ideologico di cui più tardi parlerà Camus in L’homme révolté. Nel primo approccio al tema “Russia incompresa dall’Europa”, scritto nel 1861 e ora per la prima volta tradotto in Italia, Dostoevskij è criticamente implacabile: “Se c’è al mondo un paese, che è per gli altri paesi distanti e confinanti con esso, più sconosciuto e incomprensibile di tutti gli altri, questo paese è indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali. Nessuna Cina, nessun Giappone possono essere avvolti da un tale mistero per la curiosità europea come la Russia, soprattutto nel presente momento e anche, forse, ancora più a lungo nel futuro. (…) La Cina e il Giappone sono troppo lontani dall’Europa. La Russia invece è del tutto aperta davanti all’Europa (…) e tuttavia per l’Europa è l’enigma della sfinge”. E’ questa “un’insolita ottusità”, perché in Europa si pensa dei russi che sono europei ma anche barbari, intelligenti ma non geniali. In particolare c’è una “illimitata presunzione” di fronte ai russi, tipica caratteristica quasi di ogni tedesco.



Pagine su pagine, il pamphlet di Dostoevskij va avanti come una colata lavica che trascina tutto e che include diverse osservazioni acutamente satiriche sulla cecità dei viaggiatori europei in Russia (chissà cosa avrà o avrebbe pensato dei settecenteschi Viaggi di Russia del nostro Algarotti).


La svolta finale arriva quando Dostoevskij afferma che la “civilizzazione” presuntamente superiore con centro a Parigi, di cui gli europei vanno tanto fieri, non serve alla Russia dato che il suo popolo ha già compiuto in sé la propria civilizzazione, grazie a “qualcosa di saldo, di armonioso, di unanime, in cui si fondono tutte le classi sociali, pacificamente, in accordo fra loro, fraternamente”. E mentre gli europei ogni loro diritto e privilegio lo hanno ottenuto con le guerre, in Russia invece “se ci sono disaccordi, questi sono solo esteriori, temporanei, casuali, facilmente appianabili e non hanno radici nella nostra terra”, cioè “nella stessa natura dell’animo russo, nell’ideale popolare”, che il “saggio e benedetto zar, benedetto tra i benedetti” provvede a perpetuare. In tante pagine appassionatamente surriscaldate e visionarie, il sublime genio letterario vede solo la propria fede: “Sì, noi crediamo che la nazione russa sia un fenomeno straordinario nella storia dell’umanità”, che unirà il genere umano invece che dividerlo come è accaduto e accade fra europei occidentali. Il resto è ripetizione. C’è poco da obiettare alla fede. Per diradare una tale nebbia slavofila si deve leggere l’autobiografia dell’“occidentalista” russo Aleksandr Herzen Passato e pensieri, grandissimo scrittore che Dostoevskij sarcasticamente ma giustamente definiva gentilhomme russe et citoyen du monde.

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