Anche fuori dalla competizione, il cantante milanese ha dimostrato la sua manifesta superiorità. La polemichetta sulle collane di Tony Effe e i poco entusiasmanti ritorni di antichi campioni (come Benigni, assai arrugginito). Fortuna che ci sono Giorgia e Annalisa
Lo diciamo subito: Sanremo 75 ha un vincitore virtuale con 24 ore di anticipo, ed è il solito: il numero di Mahmood nella quarta serata del Festival ha dimostrato la sua manifesta superiorità pop e rimettendo tutti in fila. Forse lui non partecipa per dare spazio agli altri. Come Sinner: se vuole li prende a pallate. Comunque il venerdì si fanno i duetti, è la serata buona per filosofeggiare sul Festival (esauriti gli argomenti). Prima, leviamoci l’ingombro dell’unica micro-polemica che ha vivacizzato questa edizione palesemente sotto tutela: la collana di Tony. La soddisfazione di ritirarsi e di organizzare un controfestival al Palaeur, stavolta non gliel’ha data. S’è messo l’oggettino alla cintura tipo portachiavi e ha ricominciato a cantare Califano. Però è chiaro che lassù qualcuno non lo ama e dopo che lui si è incacchiato è cominciata la caccia al gioiello firmato e sarebbe stata una strage. Meglio sorvolare. Per atterrare sulla migliore esibizione a coppie di questo Festival romano-centrico: Elodie e Achille che rifanno “Mano a Mano” di Rino Gaetano e sembrano uscire da un melò tardo-pasoliniano, nel senso che anche Elodie, una volta tanto non più sola, ma con accanto qualcuno a cui corrispondere la sua sensualità, ha dato del suo meglio e il palco dell’Ariston per quattro minuti grondava dramma e desiderio.
Assai meno entusiasmanti, invece, i ritorni di antichi campioni, tipo Benigni in promozione per la prossima sortita tv, arrugginito quanto Topo Gigio (la voce è apocrifa, ma Didi Perego non la rifai manco con l’IA). La vera domanda è in quale preciso momento a Lucio Corsi è venuta questa idea del duetto col vecchio topo, soprattutto perché, e se poi con questa azione situazionista vuole dirci qualcosa e che cosa. Speriamo di arrivarci da soli. Poi c’è il paragrafo delle ramanzine, perché certe cose avremmo preferito non vederle, come Il Volo con Clara che trattano “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel con la delicatezza di uno squadrone ACAB o Serena Brancale che si misura con Alicia Keys (con la complicità di Carlo Conti che sostiene che Alicia deve farsela sotto dopo aver sentito ‘sto capolavoro). E poi Rose Villain che scomoda Battisti, che lo sanno tutti che è radioattivo, Cristicchi che si prende sempre sul serio e porta “La Cura” di Battiato con intro in aramaico, Fedez inghiottito dal vortice dei suoi tragici amori, dei cui ricami continua a fare mercimonio musicale. Tutte sfide perse. Male.
Per fortuna ci sono state facce che ci ha fatto piacere rivedere all’Ariston: un commovente maestro Toquinho, Clementino che ha spaccato con Rocco Hunt, Annalisa che ha tenuto testa a Giorgia (che questo festival lo vincerà sul serio, se solo non avesse il problema di chiamarsi appunto Giorgia), un Johnson Righeira tirato a lucido, un redivivo Goran Bregovic e ancora Federico Zampaglione, Riccardino Sinigallia, Neffa, aristocrazia d’inizio millennio. Ben ritrovati. E tutti contenti. Perché poi loro, i cantanti, vivranno pure questa esperienza eccezionale, ma in chiusura vogliamo dedicare un pensiero a noi, il pubblico, qui, a mezzanotte, sempre più soli a fissarci da quattro giorni con Conti dritti negli occhi, senza dire niente, senza lamentarci, cercando il buono in ogni angolo, giorno dopo giorno circondati da crescente incomprensione, in famiglia guardati come mentecatti. Anche se la mattina dopo poi ci consolano, dicendoci che siamo un grande popolo. Il popolo di Sanremo, i sudditi di Carlo.