Il conduttore non mattatore sta dimostrando che si può evitare la retorica senza essere Vannacci. Persino in Rai parlano di tv e non di potere, di prodotto e non di nomine
Sanremo, dal nostro inviato. Evviva la Dc, democrazia Conti. E non per gli ascolti che sono sempre record: undici milioni ottocentomila spettatori, ovvero 64,6 per cento di share (battutaccia di un produttore televisivo rimasto a Roma: “Amadeus si è attaccato alla flebo di fentanyl”), ma per via di questo Festival-miracolo in cui senti le canzoni e non i monologhi, dove persino la noia ha ritmo, e un presentatore che non fa nulla per risultare simpatico (la tradizione è di altissimo livello: Pippo Baudo) vìola tutte le regole della banalità obbligatoria, della retorica imposta: “Antifascista? Oggi mi preoccuperei di più dell’intelligenza artificiale”. Oppure ieri, mentre gli ricordavano che Fedez è indagato, manco fosse Daniela Santanchè, mentre insomma partiva Mani Pulite a Sanremo, rispondeva: “Faccio il direttore artistico, non il pubblico ministero”. Ci voleva Carlo Conti.
Viva la Dc, la democrazia Conti, il conduttore non mattatore che con l’abbronzatura eccessiva, gli occhi troppo vicini (“mi dicevano: ‘Non farai mai televisione’”), con quell’aria che corrisponde alla famosa battuta di “Boris”, quella di Stanis La Rochelle interpretato da Pietro Sermonti, ovvero “i toscani hanno rovinato l’Italia”, ecco proprio lui, sta invece dimostrando che si può stare contro lo stupidario nazionale e banalgrande senza orgogli luciferini, senza il turpiloquio (pur geniale) della “Zanzara” e senza le sparate da “Alto gradimento” del generale Vannacci. Che da ieri sera è forse non a caso a Sanremo. Dove però lo avevano preceduto il sosia di Papa Francesco e la vera finta Liz Taylor (domani invece lo sostituisce il ministro Adolfo Urso che, mentre crolla la produzione industriale italiana, viene a presentare il quarantacinquesimo francobollo di cui ha voluto fortemente l’emissione).
Viva la Dc, dunque, democrazia Conti, appunto, che tra gli autori di Sanremo ha chiamato Giancarlo Leone, l’ex direttore di Rai1, il figlio del presidente Leone, il galantuomo che da dirigente Rai teorizzava e praticava la televisione garbata, ma non pettinata. “Cerchiamo di fare una televisione che non sia aggressiva”, diceva molti anni fa. “Una televisione che non vada sopra le righe, cosa che ovviamente implica anche dei rischi perché la tivù ha abituato agli eccessi”. Viva la Dc, allora, la democrazia Conti, che migliora persino la Rai, la cara vecchia e incrostata Rai. E non solo perché le fa guadagnare quei sessantasette milioni di euro che ieri mattina hanno fatto dire a Saverio Raimondo su Radio2: “Anche per quest’anno la Rai non chiude”. La Rai a Sanremo, infatti, con tutti i suoi dirigenti e mandarini, con quei suoi direttori a vita e manager col contratto a tempo indeterminato che la rendono l’unica azienda al mondo governata pressoché sempre e per sempre dalle stesse persone, per una volta sembra occuparsi integralmente e soltanto di televisione e non di potere. Di prodotto e non di nomine. Un miracolo, dicevamo. San Carlo Conti.
Sicché mentre a Roma, e in quel che rimane di Viale Mazzini evacuata causa amianto, si discute di Vigilanza Rai, di presidenza dell’azienda, di cosa dai a Giuseppe Conte, che è un Conti al singolare, un mezzo Conti, dunque una mezza porzione, mentre a Roma insomma discutono di come spartirsi questa povera televisione di stato, qui a Sanremo gli uomini Rai – trasfigurati – discutono invece di canzoni, ritmo, scalette, copioni. E persino il più acceso antipatizzante del carrozzone malato, non può non riconoscere che qui tutto funziona davvero, come la storia del calabrone: sfida le leggi della fisica, e vola. Vola. Eppur si muove. E per una volta lo fa secondo logiche di prodotto e di mercato, di talento e di riscontro pubblico, in un indotto che è pubblicitario e industriale, marketing e vendite, con sinergie che vanno dalla moda (che investe a Sanremo quanto per la settimana della moda a Milano) alla discografia, da Spotify che fa il botto di ascolti con la playlist di Sanremo (“è la playlist più ascoltata al mondo”, ha fatto sapere la piattaforma di streaming) fino al cinema. Componendo un mosaico che ribalta tutti gli stereotipi di un’Italia incapace di fare business e sistema.
Il che ci fa venire voglia di dire: spostate la Rai a Sanremo. Subito. E fatela gestire alla Dc. Sempre. Viva la democrazia Conti. E chi l’avrebbe mai immaginato?