Strumentalizzare proprio il Giorno della Memoria per fare dell’antisemitismo a scuola è il colmo. Ma lo è ancora di più se chi esprime dubbi e critiche a certe iniziative viene minacciato con delle sanzioni. Il racconto della vicenda direttamente dal suo protagonista
Al direttore – E’ già ampiamente circolata la notizia di un insegnante minacciato di sanzioni per aver espresso qualche obiezione allo stravolgimento del Giorno della Memoria nella propria scuola. Ebbene, il rampognato sono io e vi dico la mia. Come si è saputo nei giorni scorsi, il 27 gennaio, a sorpresa, nel liceo di Milano in cui insegno, dei ragazzi sono stati autorizzati a girare per tutte le classi a perorare la propria versione del Giorno della Memoria. Ammettevano che la Shoah è stata una brutta cosa ma di genocidi ce ne sono tanti e di continuo, anche oggi. In particolare Israele starebbe massacrando i palestinesi dal 1948, e a Gaza compie oggi un vero e proprio genocidio. Uno striscione in cortile rincarava la dose e, già che c’era, accusava i poliziotti bastardi di aver ucciso Ramy, ormai assurto a George Floyd meneghino e anche un po’ palestinese ad honorem.
Lunedì 3 febbraio la dirigente mi convoca nel suo ufficio e mi consegna una contestazione scritta. Non accompagna questo gesto a nessuna spiegazione, men che meno a richieste di chiarimento o tentativi di dialogo. Niente. Il testo cita due mie email alla comunità scolastica in cui, a caldo, mi interrogavo retoricamente sul senso di consentire quella propaganda a scuola. La contestazione è estremamente generica. Sarei venuto meno ai miei doveri professionali e avrei violato divieti circa l’uso della posta elettronica. Forse meglio alla rovescia: sono accusato per avere inviato delle email dunque ho violato le norme sull’invio delle email, e sono docente dunque ho violato i doveri del docente. Tutto fila perfettamente. Le contestazioni disciplinari peraltro a scuola seguono il rito inquisitorio. Il dirigente è insieme l’accusa, il giudice imparziale e a volte anche parte in causa. Si può trincerare pure dietro l’obbligatorietà dell’azione disciplinare, così da spogliarsi di qualunque responsabilità e, com’è tipico in questi casi, fare trionfare l’arbitrio. L’accusato è invitato a un contraddittorio di fronte alla stessa corte monocratica e può persino avvalersi “dell’assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante sindacale”.
In alternativa può inviare una memoria scritta, che è quel che ho fatto pochi giorni dopo. Nella mia difesa premetto qualche circostanza forse sfuggita ai più. Per esempio che il Giorno della Memoria è stato istituito per ricordare proprio la Shoah, non certo per relativizzarla o sminuirla, magari tramite equiparazione ad altri eventi tragici, reali o fantasiosi. Che la definizione Ihra di antisemitismo è stata fatta propria da anni anche dall’amministrazione scolastica, pure tramite apposite linee guida. Che la demonizzazione di Israele e la sua assimilazione al nazismo sono forme di antisemitismo e vanno avversate. Aggiungerei che strumentalizzare proprio il Giorno della Memoria per fare dell’antisemitismo a scuola è davvero il colmo. E sanzionarmi per aver cercato di fare nel modo più efficace il mio dovere è invece il colmo dei colmi.
In generale va detto che tutti gli sforzi generali finalizzati a chiarire la natura dell’antisemitismo e a combatterlo nel mondo della scuola sembrano finora caduti nel vuoto e nell’oblio. Il Giorno della Memoria, come alcuni paventarono da subito, è diventato presto uno stanco rituale burocratico. Da tempo il 27 gennaio è il giorno per mettersi l’animo in pace piangendo gli ebrei morti, per poi prendersela con gli ebrei vivi nei restanti trecentosessantaquattro. Dopo il 7 ottobre tuttavia sono saltate le cautele ipocrite. L’odore del sangue ha fatto esplodere le gabbie. Ormai neppure il 27 gennaio si possono tanto piangere gli ebrei morti, che subito ti vengono contrapposti altri morti, specialmente se prodotti da mano ebraica. Direi che nel mondo della scuola in generale viga il neneismo istituzionale. Se ci sono in corso polemiche, controversie o conflitti veri e propri, la scuola deve essere neutrale e distaccata. Si tratterebbe in apparenza di un approccio prudentemente didattico e oggettivamente scientifico. Per farlo bene occorre però talvolta dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Se è difficile fare apparire una parte alla pari dell’altra, si esagera un po’, si omette volentieri qualcosa di imbarazzante e ci si sforza di mandar giù qualche panzana. La verità non interessa più di tanto. La giustizia men che meno. Nel caso di Israele c’è naturalmente un di più di ostilità preconcetta e plurimillenaria. Ci si accorge che quasi nessuno si informa davvero ma tutti credono di saperne abbastanza e molti non resistono al piacere di rilassarsi sputando un po’ di fiele.
Ad attenuazione della mia vicenda potrei dire che gli studenti in questione rappresentano una piccola minoranza fanatizzata e probabilmente anche in buona fede. La strada dell’inferno tuttavia è lastricata di buone intenzioni. Purtroppo la maggioranza è quantomeno indifferente o, finora, silenziosa. Sicuramente non molto più consapevole. Ad aggravamento dell’episodio posso invece dire che il comportamento della dirigenza è stato inaspettato e sconcertante. Probabilmente per semplice leggerezza, quieto vivere e malintesa libertà di pensiero ed espressione. La sanzione sarà invece dovuta, almeno spero, solo alla tipica puerile permalosità del burocrate che non si rende neppure conto della gravità dei problemi in gioco. Ma non saprei se sia un’aggravante o un’attenuante. Come dico sempre in questi casi: se ci si comporta in questo modo in uno dei principali licei di Milano, che altro succederà mai in tutte le altre scuole d’Italia.