La premier boccia la proposta di Fedriga (Lega) sui medici di base e apre all’idea di Forza Italia. Spiragli sulla rottamazione delle cartelle esattoriali. Linea dura contro la legge sul fine vita, ma preoccupa la posizione degli Usa verso Tirana
Giorgia Meloni tira il freno, ma non inchioda: sulla riforma dei medici di base, caldeggiata da Lega e governatori del Carroccio, perché “impopolare”, prova una mediazione. Ma anche sul fisco lascia un po’ di corda a Matteo Salvini, anche se non ci sarà un intervento in 120 rate visto che servirebbe una copertura da 5 miliardi di euro. Una frenata, questa sì, ci sarà sulla legge della regione Toscana sul fine vita: Palazzo Chigi la impugnerà davanti alla Corte costituzionale. La premier prova a tenere le fila di tutti i fronti aperti che punteggiano la sua maggioranza.
Vorrebbe occuparsi di economia e crescita, visto che dopo la standing ovation all’iniziativa della Cisl, porta avanti contatti diretti e paralleli con il presidente di Confindustria Emanuele Orsini. Tuttavia la percezione di una coalizione scollata non le sfugge. Una sensazione che va di pari passo con il clima d’assedio percepito nei Palazzi del governo: servizi, magistrati e giudici, Corte penale internazionale, ingerenze di stati esteri. Tutto si mischia e si fonde.
E forse allora anche per questo – come annunciato anche da questo giornale – sceglie il martedì per riunire Antonio Tajani (seppur febbricitante), Matteo Salvini e Maurizio Lupi. L’occasione ufficiale è rappresentata dalla riforma dei medici di famiglia, che piace ai governatori leghisti, su tutti a Massimiliano Fedriga, numero uno del Friuli Venezia Giulia e anche della conferenza stato regioni. Fedriga partecipa a questa riunione in presenza, ci sono anche il ministro della Sanità Orazio Schillaci e quello dell’Economia Giancarlo Giorgetti. In mancanza di un accordo durante il vertice si fa largo la mediazione proposta da Forza Italia, con il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio: i medici di medicina generale dovranno essere disponibili fino a 18 ore su 38 per le Case di comunità e per 20 ore rimanere a disposizione per i propri pazienti convenzionati continuando a garantire una assistenza vicina ai cittadini nei propri studi salvaguardando il rapporto fiduciario. Ma devono mantenere lo stesso attuale rapporto giuridico libero professionale di parasubordinato convenzionato e non dipendente. Per Meloni è una proposta di buon senso dettata anche da fini di consenso e popolarità, assillo della leader che dopo due anni e passa a capo del governo continua ad avere un indice di gradimento alto, così come quello del partito che guida. Fedriga mastica amaro, anche se la soluzione del puzzle non è vicina. Anche perché Forza Italia durante il tavolo ha detto che l’idea originaria di riforma è “invotabile”. Ragionamenti appunto che hanno spinto la presidente del Consiglio a un’ulteriore riflessione perché nella sua testa c’è l’obiettivo di avere una sponda con i sindacati, almeno con una parte di questi, a partire dalla Cisl.
Discorso più complesso sul fisco, altra battaglia di Salvini, l’alleato che preoccupa Meloni perché, come raccontato dal Foglio, non va mortificato e deve restare solido alla guida del partito di via Bellerio. Sicché un intervento ridotto di rottamazione delle cartelle esattoriali ci sarà: senza agganciarlo al decreto Milleproroghe in conversione al Senato, in forma soft per via delle coperture ballerine (il piano di Salvini costa 5 miliardi di euro). Il fatto che Giorgetti si esponga, di concerto ovviamente più con Palazzo Chigi che con il suo leader, è la riprova di un segnale distensivo che la premier vuole inviare all’alleato. Tra gli assilli di queste ore che ronzano a Palazzo Chigi – al di là dei servizi segreti, per i quali il sottosegretario delegato Alfredo Mantovano propone una riforma – resta l’Albania. Il progetto con le ruote bucate. Matteo Piantedosi, in Aula alla Camera, ha fatto capire che si va avanti con un decreto, atteso la prossima settimana, per trasformare tutte le strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio. Intanto, a Tirana succedono cose e riguardano l’offensiva della Casa Bianca nei confronti di Edi Rama: l’ex ambasciatrice americana in Albania Yuri Kim, che fino a oggi lavorava in una posizione di rilievo dentro il dipartimento di stato americano, è stata sospesa da Donald Trump.