A dicembre la produzione industriale segna -3,1%, la caduta più forte in due anni di continua contrazione. Pochi giorni fa il ministro delle Imprese Adolfo Urso diceva: “La produzione sta crescendo”. Il governo ha un piano?
Sabato scorso, in un’intervista a Milano Finanza, il ministro delle Imprese Adolfo Urso sprizzava ottimismo sulla ripartenza della produzione industriale: “La produzione ha ripreso a crescere a dicembre e l’Italia sta facendo meglio di altri paesi europei”. Mancò la fortuna non il tempismo, si può dire riprendendo l’epigrafe del monumento a El Alamein.
Esattamente quattro giorni dopo la sfortunata dichiarazione del ministro, l’Istat ha pubblicato l’indice della produzione industriale di dicembre. Altro che “ripresa”, i dati sono catastrofici. Nell’ultimo mese del 2024, la produzione industriale è crollata del 3,1% rispetto a novembre, ma il tracollo è ancora più evidente su base annua: -7,1%.
L’Italia è al 23esimo mese consecutivo di calo tendenziale della produzione industriale e il dato di dicembre è il peggiore degli ultimi due anni: la più forte contrazione sia congiunturale sia tendenziale. Il 2024 si chiude con una diminuzione della produzione industriale del 3,5%, che si somma alla caduta del 2% nel 2023. Negli ultimi due anni, l’Italia ha perso 5,5 punti di produzione industriale.
I dati di dicembre sono ancora più preoccupanti se si vanno a vedere i dettagli per raggruppamento di industrie. Perché nel -3,1% congiunturale c’è il contributo positivo dell’energia (+0,9%), mentre il calo è più intenso per i beni strumentali, i beni di consumo (entrambi -3,3%) e i beni intermedi (-3,6%). Su base tendenziale i numeri sono ovviamente peggiori, con cali dei beni strumentali e intermedi attorno al 10%. Se si guardano i settori di attività economica, escluse attività estrattiva ed energia, i dati sono terrificanti. Diversi comparti registrano contrazioni a doppia cifra: l’automotive (mezzi di trasporto) sprofonda del 23,6%, il tessile precipita del 18,3%, la metallurgia crolla del 14,6%, i macchinari cadono del 9,3%. In generale, l’indice della manifattura segna -8,7% rispetto a dicembre 2023.
Non solo non si vede alcuna ripresa ma, anzi, l’industria italiana ha toccato il suo punto più basso dai tempi del Covid. E non è affatto vero, come afferma Urso che l’Italia “sta facendo meglio di altri paesi europei”. Eurostat diffonderà oggi i dati relativi a dicembre 2024, ma guardando quelli dei mesi precedenti è chiaro che l’Italia ha fatto peggio di quasi tutti i paesi europei con un indice della produzione industriale pari a 94,6 a fronte di una media Ue di 98,3. E questo a novembre, prima della caduta di dicembre.
Certamente il dato così inaspettatamente negativo dell’Istat può avere delle spiegazioni contingenti. È probabile che l’incertezza legata alla vittoria di Donald Trump e alla sua annunciata politica commerciale aggressiva e protezionista abbia indotto molte imprese a posticipare la produzione ed, eventualmente, a fermare gli stabilimenti approfittando delle festività in attesa che il quadro internazionale si schiarisse. Ma in ogni caso, il dato negativo del 2024 è senza precedenti e mostra un’accelerazione di una discesa che va avanti da un paio d’anni.
In questo stesso periodo, nonostante il declino dell’industria, c’è stato un forte aumento dell’occupazione trainato dal settore dei servizi. Il record del mercato del lavoro è stato uno dei risultati più rivendicati dal governo Meloni, che con la sua politica di bilancio ha sostenuto il potere d’acquisto degli occupati attraverso un incisivo taglio del cuneo fiscale. Anche se l’incremento dell’occupazione è stato superiore all’aumento del pil (segno di un calo della produttività e di uno spostamento verso settori a minore valore aggiunto), il governo non è apparso preoccupato per l’andamento del mercato del lavoro. Il quadro però mostra un indebolimento. Gli ultimi mesi dell’anno, novembre e dicembre, segnano una piccola contrazione dell’occupazione (-18 mila occupati complessivamente).
Inoltre, la stima preliminare del pil del IV trimestre – il secondo di fila con crescita zero – indica una flessione dei servizi (il settore che più ha trainato la crescita e l’occupazione finora) e una diminuzione della domanda interna (che, invece, dovrebbe compensare la contrazione della componente estera in uno scenario di aumento dei dazi Usa).
Certamente molti dei problemi dell’industria italiana derivano da fattori esterni, come il costo dell’energia, la debole crescita del commercio internazionale e la crisi profonda dell’industria tedesca di cui quella italiana è subfornitrice. Su tutte queste criticità all’orizzonte si vedono rischi al ribasso: il prezzo del gas continua ad aumentare, il commercio internazionale può subire ulteriori colpi dai dazi degli Stati Uniti che, a loro volta, colpirebbero l’industria esportatrice in Germania e quindi quella italiana che fornisce componenti e beni intermedi. Questi problemi non sono colpa diretta del governo, ma il governo ha la responsabilità di elaborare una risposta. Eppure all’orizzonte non si vede una strategia, né sulla politica industriale né su quella commerciale.
Il governo, ad esempio, è sempre contrario all’accordo tra Ue e Mercosur che, abbattendo i dazi, aprirebbe alle imprese esportatrici italiane un grande mercato come quello del Sud America? Non si sa. È una questione che pare non interessare.
In questi anni il ministro Urso si è occupato poco di industria e più di controllo dei prezzi nei supermercati (“carrello tricolore”), alle pompe di benzina (cartello con il prezzo medio), negli aeroporti (decreto sul “caro voli”) e nei menù dei ristoranti (“Aggiungi un posto a tavola che c’è un bambino in più”). Per un ministro delle Imprese che si vanta di aver ridotto l’inflazione al posto della Bce, è surreale pensare che non possa fare nulla per l’industria. Soprattutto se dice che la produzione industriale sta crescendo e quella invece crolla.