Alcuni attivisti hanno attaccato un campo sperimentale in cui si provava la tecnologia di evoluzione assistita (Tea) su piante di vite Chardonnay. Il paradosso è che chi si erge a paladino dell’ambiente ostacola proprio le possibili soluzioni per combattere i cambiamenti climatici e preservare la biodiversità
Cari ecoterroristi, ieri sera altri di voi – o forse gli stessi, non lo so – hanno distrutto un altro campo sperimentale, dopo quello di riso, in cui si provava la tecnologia di evoluzione assistita (Tea), questa volta su piante di vite Chardonnay, piantate l’anno scorso in Valpolicella da un valente gruppo di ricerca italiano. Lasciate che vi spieghi per bene quello che avete fatto, in modo che possiate apprezzare se il bersaglio che avete scelto di distruggere sia confacente a quello in cui immagino crediate e che penso vi stia a cuore.
Cominciamo dalle cinque viti che avete distrutto, quindi. Esse sono il frutto di una sperimentazione che mira ad ottenere piante per le quali sia possibile diminuire il numero di trattamenti fungicidi, nel caso particolare per controllare la peronospora. Ora, voi forse siete a conoscenza del fatto che, nonostante il suolo agricolo europeo sia occupato solo al 2% da viti, questa coltivazione contribuisce al 40% del consumo di fungicidi.
Ora, proprio la Valpolicella, sede della sperimentazione che avete inteso interrompere, è fra i territori maggiormente irrorati con fungicidi e altri fitofarmaci, così che, per esempio, le api – uno dei simboli che più amate – vanno incontro a moria, tanto da costringere gli apicoltori a trasferirsi altrove.
Se diamo retta a Legambiente Veneto – immagino che sia una fonte che ritenete attendibile – troviamo che, dei fungicidi che si usano in campo, “purtroppo solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Le conseguenze si esplicano nel rischio di inquinamento delle falde acquifere e nel possibile impoverimento di biodiversità vegetale e animale.”
Cari ET – vi chiamerò così, per evitare termini troppo emotivi – io immagino che voi vogliate preservare la biodiversità agricola e la salute di chi lavora e vive in Valpolicella; per questo, sono certo che apprezzereste una soluzione che allo stesso tempo potrebbe diminuire l’uso di certe sostanze, senza che le piante siano modificate nel loro patrimonio genetico attraverso l’aggiunta di Dna proveniente magari da altri organismi. Per esempio, una pianta di vite che, invece di produrre qualche cosa in più per difendersi dalla peronospora, potesse invece semplicemente diventare meno suscettibile al suo attacco, attraverso la perdita di qualche tratto che la rende prona all’infezione.
Cari ET, pensate: non del Dna estraneo, capace magari di produrre qualche tossina immunogena che tenga lontana la peronospora, ma invece semplicemente l’eliminazione della suscettibilità al suo attacco, attraverso lo spegnimento di qualche gene. Nessun gene in più, ma solo qualcuno in meno – magari uno solo in meno. Sarebbe bello, vero?
Oltretutto, così la varietà di vite interessata rimarrebbe quella che è – Chardonnay rimarrebbe Chardonnay, per esempio – e la pianta ottenuta sarebbe una delle tante viti che madre natura, sotto l’attacco continuo della peronospora, potrebbe senza dubbio produrre a sua volta, magari però in centomila anni, quando forse nemmeno più ci sarà la Valpolicella.
Io credo che voi sosteniate la biodiversità agraria, l’integrità genetica – abbasso gli OGM, nevvero? – e anche il lavoro e la sapienza contadina che ci danno un vino come lo Chardonnay. Sapienza contadina che poi si potrebbe magari combinare con quella di un ente pubblico di ricerca, senza nessun intervento di quelle multinazionali del fitofarmaco e degli OGM che temete ed odiate, attraverso la collaborazione fra agricoltori e ricercatori che in Valpolicella ci vivono, che a Verona hanno studiato e che ogni giorno vedono con i “piedi piantati per terra” quali sono i problemi che cambiamento climatico, uso eccessivo dei fitofarmaci ed errori di altra natura della nostra specie producono al loro territorio e alla biodiversità locale.
Forse ora incominciate a capire, cari ET: quella possibile soluzione era in campo, ed è quella che avete distrutto, in un atto che credevate essere di eroismo per il bene del pianeta e di tutti.
Vi concedo la buona fede, ma non credo abbiate riflettuto per bene su quel che fate: solo a guardare agli insetti fra i più amati e simbolici, se diamo retta agli apicoltori, “miliardi di api” risentono e muoiono per i metodi con cui oggi si proteggono le colture di vite, anche in regime biologico, costretto all’uso di ingenti quantità di prodotti a base di rame, e il significato di questa perdita immagino di non doverlo spiegare a voi.
Allora vi prego, benedetti ET: salviamo il futuro della biodiversità agraria, magari con un prodotto locale frutto della ricerca nelle nostre colline, alla faccia delle aziende del fitofarmaco. Proviamo queste TEA, volete, cari ET?