Non è più sufficiente dichiarare il proprio feticismo per l’odore della carta. Se il salvagente non vogliamo trovarlo sgonfio nel momento del bisogno, occorre fare di più. Adesso. Ci scrive il sottosegretario all’Economia
In un dialogo formidabile ripubblicato qualche anno fa, Umberto Eco scriveva a Jean-Claude Carrière: “Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati non potete fare di meglio”. Ecco, direi che oggi, proprio oggi che ci ritroviamo immersi nella stagione fluida e ombrosa della precarietà emotiva, è a questa certezza che possiamo aggrapparci. Dotarsi di libri, oggi, a parer mio non è un’opzione: è necessario. A violare la regola aurea che rigetta per principio un assolutismo ingannevole potremmo spingerci a dire che avere per le mani un libro è come avere un salvagente. Non per forza dobbiamo immaginarci sul Titanic, ma credo di aver reso l’idea.
Ma non basta. E’ necessario fare un passo in più: abitare il luogo della lettura. Non basta più schierarsi a difesa delle piccole librerie con un post su Instagram. Non è sufficiente dichiarare il proprio feticismo per l’odore della carta. Se il salvagente non vogliamo trovarlo sgonfio nel momento del bisogno, occorre fare di più. Alla resistenza passiva dobbiamo contrapporre un rinnovato attivismo. Ma attenzione: guai a scadere in uno sciocco antagonismo con la tecnologia che sta ribaltando gli equilibri tradizionali dell’editoria. Qui non esistono Davide e Golia, semmai una coabitazione che non può e non deve passare per l’annullamento dei più piccoli. No, non è il fast food della lettura quello che serve in un tempo accecato dall’ebbrezza che restituisce lo specchio di un cellulare, o il consiglio di un algoritmo programmato per incentivare la nostra abitudine al consumo.
Agiamo, dunque. Senza per forza dover sembrare degli adulatori nostalgici, piuttosto cerchiamo di riabilitarci alla scoperta di un mondo che in nome dell’iperattivismo tecnologico stiamo riducendo a sgabuzzino del nostro vivere. La cultura – e i libri ne sono l’espressione più alta e tangibile – come la tradizione, non si preserva adorando le ceneri, ma alimentando il fuoco. E allora, visto che serve legna nuova, io credo che si possa, anzi si debba, uscire di casa e andare in libreria.
E’ nelle librerie (meglio se piccole) che possiamo trovare quel che ci serve per affidare alla lettura il senso del nostro cammino e, perché no, le risposte che spesso ci illudiamo di trovare nel consenso immediato e fugace di un like o nella recensione – chissà quanto autentica – sulla pagina di un sito che vende (anche) libri. E’ la scelta di dedicare del tempo all’acquisto di un libro, ad ascoltare il consiglio di chi lo vende, le ragioni di chi ce lo consiglia. A perderci tra gli scaffali, scoprendo libri che non conoscevamo e che neppure avremmo mai pensato di acquistare. Una scelta che deve farsi consapevole e, dunque, premessa per agire. Abbiamo il dovere di tutelare e valorizzare questi luoghi. Spetta a tutti farlo. A chi acquista un libro come a chi consiglia la sua libreria di fiducia a un amico. Ma è necessario che questo impegno collettivo sia sostenuto dalle istituzioni, a tutti i livelli. Un sostegno che deve essere anche economico: favorire l’apertura di nuove librerie da parte di giovani fino a 35 anni, sostenere la vendita dei libri nei piccoli centri abitati, aiutare la filiera dell’editoria libraria e le librerie che hanno una lunga tradizione e un interesse storico-artistico, così come quelle di prossimità, sono tutte azioni che rispondono a queste necessità.
A noi, abitanti di questi luoghi, tocca la responsabilità di queste scelte. Non esistono occupazioni per cui non c’è tempo: esistono scelte per distribuire il nostro tempo, tutto qui. Ecco, è una scelta. La scelta di alzarci dal divano e di varcare la soglia di una libreria. Magari piove, e sarebbe più comodo restare a casa e ordinare un libro su Internet. Ma se non vogliamo consegnarci mani e piedi a qualcuno che decida per noi, mettiamo il cappotto e usciamo di casa. Entriamo in una libreria, anche se il legno della porta è usurato dal tempo. Basterà varcare la soglia per scoprirci vivi. E forse noi stessi, finalmente.
Federico Freni
sottosegretario di stato al ministero dell’Economia