Ora anche la produzione di metallo in Russia è in crisi

Contrazione dei consumi interni e calo della domanda estera hanno costretto le maggiori compagnie metallurgiche del paese a ridurre la produzione con percentuali a doppia cifra. Il colpo di grazia potrebbe arrivare da Bruxelles, con la Commissione che sta pensando a un nuovo embargo

Seguendo la stessa traiettoria negativa dell’industria del carbone, che a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni ha dovuto affrontare un crollo delle esportazioni fino a chiedere l’intervento di Mosca per evitare un’ondata di fallimenti, anche il settore metallurgico della Russia è in grave difficoltà. Nel 2024 la contrazione dei consumi interni e il calo della domanda estera ha costretto la Magnitogorskiy Metallurgicheskiy Kombinat (Mmk) e la Norilsk Nickel – due tra le maggiori compagnie metallurgiche del paese – a ridurre la produzione con percentuali a doppia cifra.

La produzione di acciaio di Mmk si è contratta del 14 per cento, il peggior risultato degli ultimi cinque anni. Complessivamente, le vendite della società sono diminuite del 10 per cento. La Norilsk Nickel, azienda controllata da oligarchi estremamente potenti quali Vladimir Potanin e Oleg Deripaska, ha registrato un calo della produzione nella maggior parte dei prodotti chiave: nichel (-6 per cento), rame (-12) e palladio (-10). Per quest’anno è prevista solo una leggera ripresa di 1-2 punti percentuali della produzione di nichel.

Dall’inizio della guerra in Ucraina la maggior parte delle esportazioni delle compagnie metallurgiche russe è stata dirottata con successo in Asia, ma poi la domanda cinese ha iniziato a diminuire. Inoltre, sebbene la Norilsk Nickel non sia stata colpita direttamente dalle sanzioni occidentali, le sue principali società sussidiarie – la Polar e la Bystrinsk – sono state inserite nella lista delle sanzioni secondarie statunitensi e ormai da un anno stanno affrontando gravi difficoltà nei pagamenti transfrontalieri, anche e soprattutto con la Cina.

Le società non escludono di dover ridurre i piani di produzione e tagliare drasticamente gli investimenti, con il rischio di compromettere la dimensione di uno dei settori più solidi dell’economia russa. Anche la Rusal, il maggior produttore di alluminio a livello mondiale, è in difficoltà. La società fondata e controllata da Deripaska – probabilmente l’uomo d’affari russo più vicino a Vladimir Putin – ha annunciato per quest’anno una riduzione della produzione di almeno il 6 per cento, causata dall’aumento dei costi delle materie prime e del calo della domanda interna.

Anche questo settore in realtà non è stato pienamente sanzionato. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno smesso di importare alluminio russo e da aprile 2024 hanno proibito di scambiarlo sulle loro piazze finanziarie. Ma non è successo lo stesso nell’Unione europea, che pur avendo ridotto drasticamente le importazioni di alluminio russo non ha introdotto un embargo, a causa dell’opposizione di alcune grandi imprese e diversi Stati membri.

Finora l’Ue si è limitata a vietare l’importazione di alcuni prodotti lavorati tra cui fili, tubi e fogli di alluminio, che rappresentano però meno del 15 per cento del totale delle importazioni dell’Ue di questo metallo (sia lavorato che grezzo). Quanto all’alluminio non lavorato, nei primi 11 mesi del 2024 l’Ue ha importato dalla Russia circa 320mila tonnellate, pari al 6 per cento del totale importato a livello comunitario e meno di un terzo rispetto al 19 per cento del 2022. Nel frattempo, le esportazioni russe verso la Cina sono aumentate, ma non abbastanza da mantenere in salute la produzione di Rusal.

In vista del 24 febbraio – data che segnerà l’anniversario del terzo anno di guerra – la nuova Commissione europea vorrebbe inserire l’embargo graduale dell’alluminio nel 16esimo pacchetto di sanzioni. Secondo le fonti di Bloomberg, la misura allo studio consentirebbe agli acquirenti europei di importare metallo russo ancora per un anno nell’ambito di un sistema di quote che si fermerà a 275mila tonnellate, dopodiché entrerà in vigore il blocco completo. Tuttavia, la proposta richiede il sostegno unanime degli Stati membri e potrebbe essere cambiata prima di arrivare all’approvazione.

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