“Con il nuovo regolamento europeo sulla migrazione, in vigore dal 2026, gli stati potranno stilare un elenco di paesi di origine sicuri con eccezioni di territori o persone, ma non avranno carta bianca”, spiega Fabio Spitaleri, professore di Diritto dell’Unione europea
L’entrata in vigore del nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo risolverà veramente tutti i problemi dell’Italia relativi ai trattenimenti dei migranti per le procedure accelerate d’asilo, inclusi quelli legati al centro di rimpatrio realizzato in Albania? Al governo ne sono convinti: dopo l’ennesima sentenza sfavorevole della Corte d’appello di Roma, fonti del ministero dell’Interno hanno sottolineato che la giurisprudenza dei giudici italiani appare “di corto respiro” ed è “destinata a essere superata dagli eventi”, alla luce del “sistema già previsto dal nuovo Patto europeo”. La risposta alla domanda, però, è “nì”. A spiegare il perché al Foglio è Fabio Spitaleri, professore associato di Diritto dell’Unione europea all’Università di Trieste.
La prima annotazione di Spitaleri riguarda le tempistiche: la nuova normativa europea entrerà in vigore nel giugno 2026, cioè tra un anno e mezzo. Prima di allora è inutile per l’Italia farsi illusioni: “La procedura accelerata per l’esame delle richieste d’asilo può essere applicata solo ai migranti provenienti da paesi sicuri – spiega Spitaleri – Nel decreto dello scorso ottobre il governo italiano ha inserito alcune nazioni, tra cui Egitto e Bangladesh, nell’elenco dei paesi di origine sicura, fatta eccezione di alcune categorie di persone. Allo stato, tuttavia, questo non può essere fatto. Con la normativa attuale è necessario che la situazione di sicurezza sia diffusa in tutto il paese, senza eccezioni di porzioni di territorio o di determinate categorie di persone”. Da qui deriva la decisione di diversi giudici italiani di non convalidare il trattenimento dei migranti provenienti dai paesi non totalmente sicuri nel centro di rimpatrio costruito in Albania, rinviando la questione alla Corte di giustizia europea, dalla quale è presumibile che arriverà una sentenza negativa per il governo italiano.
Una novità, però, è in arrivo: “Il nuovo regolamento europeo 2024/1348 prevede esplicitamente la possibilità di designare un paese come sicuro con eccezioni di determinati parti del suo territorio o categorie di persone”, sottolinea Spitaleri. Questo, tuttavia, “non significa che i governi avranno carta bianca”. In virtù del nuovo Patto europeo, sarà stilato un elenco di paesi sicuri a livello europeo. I singoli stati avranno la facoltà di stilare un proprio elenco di paesi sicuri con eccezioni di territori o persone, considerando le valutazioni compiute dai propri organismi interni ma anche di quelli internazionali.
Cosa accadrà in caso di contrasto tra l’elenco dei paesi sicuri definito dal governo italiano e quello definito a livello europeo? “Interverrà il giudice. Quest’ultimo dovrà applicare l’elenco dei paesi sicuri definito a livello europeo. Potrà però contestare la designazione di un paese sicuro da parte delle autorità nazionali, se la designazione non trova riscontro nell’elenco europeo. Insomma, non è che con la nuova normativa i giudici non avranno un potere di valutazione”, chiarisce Spitaleri.
Un altro elemento di riflessione è legato al fatto che nel regolamento europeo “manca qualsiasi riferimento alla possibilità di creare centri per il rimpatrio fuori dai confini nazionali, come nel caso del centro in Albania”.
Affermare, dunque, che il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo risolverà tutti i problemi del governo italiano risulta azzardato. Piuttosto, bisognerebbe prendere atto che “si è di fronte a una rivoluzione nella gestione del fenomeno delle migrazioni”. Il nuovo regolamento, infatti, stabilisce che gli stati saranno obbligati ad attuare le procedure accelerate, in particolare la procedura di asilo alla frontiera, nei casi in cui i cittadini abbiano tratto in inganno le autorità, se costituiscono un pericolo per la pubblica sicurezza, oppure se provengono da paesi con un tasso di riconoscimento della protezione internazionale inferiore al 20 per cento.
“Questo significa che l’Italia dovrà fare uno sforzo organizzativo enorme per trattare queste richieste entro i termini stabiliti, cioè accertamenti entro sette giorni, esame della richiesta di protezione internazionale entro 12 settimane (compresa la fase dell’impugnazione) e rimpatrio entro altre 12 settimane”, evidenzia Spitaleri. “In Italia il dibattito è molto concentrato sul centro in Albania, però sarebbe opportuno concentrarsi sulla macchina che occorrerà mettere in piedi per gestire queste procedure. Saremo capaci di esaurire l’esame delle richieste secondo le tempistiche previste? Saremo in grado di rispettare le tempistiche anche per i rimpatri?”. Nel caso ciò non avvenisse, le procedure accelerate diventerebbero ordinarie, e la loro durata sarebbe di diversi mesi, se non anni.
Ermes Antonucci