Il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) ha evidenziato l’insufficienza dei dati scientifici a riguardo e ha chiesto che il ministero della Salute si faccia carico di finanziare studi clinici indipendenti
Bloccanti della pubertà: anche l’Italia seguirà il modello inglese che – dopo lo scandalo della Tavistock Clinic e l’articolata ricerca indipendente condotta dalla dottoressa Hilary Cass – oggi ne consente l’uso unicamente all’interno di studi sperimentali. Funzionerà così anche da noi: “A seguito di audizioni di esperti e della valutazione della letteratura disponibile”, si spiega, “il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) ha evidenziato, in generale, l’insufficienza dei dati scientifici sull’uso dei bloccanti della pubertà e la necessità di irrobustirli. Di conseguenza, il Cnb sottolinea la necessità che il ministero della Salute si faccia carico di finanziare studi clinici indipendenti, finalizzati a ottenere dati dirimenti sull’efficacia e sui rischi della somministrazione del farmaco, di qualità superiore rispetto a quelli già realizzati, i quali non appaiono adeguati all’obiettivo”. Conseguentemente, “considerata l’incertezza sul rapporto rischi/benefici del blocco della pubertà con triptorelina, il Cnb auspica che le prescrizioni avvengano solo nell’ambito delle sperimentazioni promosse dal ministero della Salute”. Il modello è quello degli studi controllati e randomizzati in doppio cieco – ovvero con gruppo di controllo.
Ma, si precisa, “anche laddove avvenissero somministrazioni al di fuori delle sperimentazioni… a seguito di specifiche valutazioni cliniche del medico che andranno sempre documentate, il Cnb raccomanda di seguire gli stessi criteri indicati per la sperimentazione, e che comunque tutti i dati siano sempre trasmessi a un apposito Registro dedicato”: quindi anche le somministrazioni fuori dagli studi clinici dovranno seguire le regole applicate nell’ambito degli studi, dovranno essere prescritte unicamente quando tutte le altre ipotesi terapeutiche – in particolare l’intervento psicologico e psichiatrico – siano state intraprese senza successo, motivando rigorosamente le ragioni del ricorso a triptorelina e riferendo puntualmente sul decorso clinico a un registro nazionale. Questo anche alla luce del fatto che “al momento, i dati sull’uso della triptorelina riferiti dalle regioni (cioè al suo uso nel periodo 2019-2023) risultano carenti e frammentari”.
“All’interno della sperimentazione”, si precisa, “così come nell’eventuale pratica clinica al di fuori di essa, particolare attenzione deve essere posta al percorso psicoterapeutico/psicologico, ed eventualmente psichiatrico, che potrebbe portare all’uso della triptorelina: il processo decisionale deve essere sempre ampiamente documentato in tutti i suoi passaggi. Va inoltre garantita una dimensione campionaria idonea… ed è indispensabile differenziare ogni sperimentazione per sesso”: notazione particolarmente interessante visto e considerato che oggi la condizione di “disforia” riguarda prevalentemente ragazze e che lo stesso Cnb ha recentemente ribadito l’importanza di un approccio “di genere” nelle terapie mediche.
Il Cnb raccomanda inoltre che la prescrizione del bloccante della pubertà “avvenga secondo criteri di prudenza, assicurando che i pazienti siano sempre valutati e seguiti da una équipe multidisciplinare… Il Cnb raccomanda altresì che la prescrizione della triptorelina avvenga solo dopo che le terapie psicologiche/interventi psicosociali e eventualmente psichiatrici non si siano rivelati efficaci. La metodologia appena descritta – ovvero il ricorso a valutazioni cliniche multidisciplinari e la prescrizione della triptorelina solo a seguito della constatata inefficacia delle terapie psicologiche e/o psichiatriche – va assicurata anche nell’eventualità di somministrazioni al di fuori delle sperimentazioni”.
Preadolescenti e adolescenti che siano già in trattamento con triptorelina – farmaco il cui uso off label, ricordiamolo, è stato autorizzato da un precedente parere del Comitato per la Bioetica, 2018, seguito da una determina dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che l’ha posto interamente a carico dal Ssn – potranno continuare nel percorso iniziato ma il medico dovrà documentarne le motivazioni. Si tratta quindi di una formidabile stretta sulla cosiddetta terapia affermativa per bambine e bambini con “disforia di genere”, dopo una lunga a anche aspra discussione all’interno del Comitato e numerose audizioni di esperti, tenendo conto del dibattito internazionale e del numero crescente di paesi che dopo un’adesione incondizionata al cosiddetto “protocollo olandese” (blocker e a seguire ormoni cross-sex e chirurgia) hanno frenato bruscamente. Anche l’Italia dunque ha finalmente deciso in questo senso.
A favore del documento finale 29 componenti del Cnb, due gli astenuti e un solo voto contrario, quello di Maurizio Mori, che in una lunghissima postilla critica la Cass Review e il fatto che, rendendo prioritario l’intervento psichiatrico, di fatto ripatologizza la condizione transgender. I 29 favorevoli si sono espressi in due diverse dichiarazioni di voto. La prima, sottoscritta da 15 componenti (fra cui Assuntina Morresi, unica contraria al parere “autorizzante” nel 2018) che ritengono eticamente non accettabile consentire di intraprendere transizioni di genere a minori, rilevando che, come dimostrato dall’esperienza, la decisione di intraprendere il percorso con i blocker di fatto predispone “il minore a persistere nel processo di transizione” e che il consenso informato da parte di un preadolescente “rischia di ridursi a un atto meramente formale”: l’auspicio è quindi quello di “limitare al massimo l’uso del farmaco”; la seconda firmata da sette componenti – di cui quattro non aventi diritto al voto – a precisare che il nuovo parere non va inteso come sconfessione di quello espresso nel 2018 e anzi “richiama fedelmente i principi e i requisiti etici già enunciati in precedenza”, limitandosi a ribadire “la necessità, del tutto condivisibile, di irrobustire le evidenze scientifiche”.
Al nuovo parere del Comitato nazionale per la bioetica dovrà seguire l’iniziativa del ministero della Salute, con l’istituzione di un registro nazionale oltre all’individuazione delle modalità per organizzare la sperimentazione, verosimilmente sul modello inglese o in linea diretta con il Nhs, il Servizio sanitario nazionale britannico. Anche l’Aifa, l’agenzia nazionale del farmaco, dovrà rivedere la determina espressa nel 2019, compresa la questione della rimborsabilità della triptorelina. Insomma, un vero giro di boa.