Il presidente dell’Ordine dei medici Filippo Anelli al Foglio: “Va rimessa al centro l’autorevolezza della professione”. In cinque anni l’aumento di aggressioni è del 38 per cento
“È in corso un’escalation di aggressioni nei confronti del personale medico e sanitario che deve essere fermata. Lo stato deve far sentire la sua presenza e prendere decisioni importanti: va rimessa al centro l’autorevolezza della professione del medico”. A scandirlo è il presidente dell’Ordine dei medici Filippo Anelli, che in una conversazione con il Foglio commenta i recenti casi di cronaca accaduti all’ospedale Riuniti di Foggia, e non solo. Dopo il video diventato virale in cui alcuni medici e infermieri si riparano da un’aggressione da parte di un gruppo di parenti di una donna deceduta durante un intervento chirurgico, nel dibattito pubblico è tornato centrale il tema delle violenze nei confronti del personale sanitario. Fratelli d’Italia ha presentato in Senato un ddl che contiene una sorta di Daspo alle cure per chi si rende autore di aggressione, ma i medici non vogliono solo maggiore sicurezza: chiedono aiuto alle istituzioni perché si fermi la sfiducia generalizzata nei confronti della scienza.
Il caso di Foggia e i dati sulle aggressioni dei medici
Quanto accaduto all’ospedale Riuniti di Foggia è l’ultimo caso di una serie di aggressioni ai danni del personale sanitario. Il fatto è stato molto ripreso anche per via del video che mostra un grande gruppo di medici e infermieri bloccare la porta di una stanza dalla furia di un altrettanto numeroso gruppo di parenti che cercavano di assalirli. La causa di tanta violenza è stato il decesso di una ragazza in seguito a un intervento chirurgico. Secondo quanto ricostruito, una cinquantina di parenti della vittima si sono ritrovati all’ospedale e, di loro, una ventina è riuscita a entrare nelle zone riservate al personale per provare ad aggredire i camici bianchi.
Sempre nello stesso ospedale, poi, nel giro delle ultime 48 ore, si sono verificate altre due aggressioni, entrambe nel pronto soccorso del policlinico. Ieri pomeriggio il figlio di un paziente ha colpito due infermieri con un braccio ingessato, mentre la notte precedente un 18enne ha preso a calci tre infermieri prima di essere stato arrestato per lesioni. Sempre ieri, nell’ospedale Francesco Ferrari di Casarano, in provincia di Lecce, un uomo in attesa di essere sottoposto a un esame si è innervosito e ha colpito il medico in servizio con un calcio al basso ventre. Questa mattina, ancora, una dottoressa di medicina d’urgenza all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino è stata aggredita fuori dalla struttura da un uomo che le ha ferito la mano con un’arma da taglio.
Gli ultimi dati del ministero della Salute sulle aggressioni ai medici e agli infermieri sono stati pubblicati lo scorso marzo, il 12, in occasione della giornata dedicata di “educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”. Il report del ministero si riferisce al 2023 e parla di 16 mila aggressioni registrate nei confronti dei camici bianchi, sia fisiche che verbali.
Altri dati sono invece stati pubblicati invece oggi dal Sole 24 Ore e sono quelli di un’indagine di Amsi-Umem-Uniti per Unire, due associazioni che si occupano di tutelare la categoria. Nella lunga analisi è emerso che negli ultimi cinque anni le aggressioni nei confronti del personale sanitario sono aumentate del 38 per cento a causa della carenza dei professionisti della sanità. Tra le altre cause ci sono anche i tempi delle liste d’attesa, pregiudizi sul personale e mancanza di comunicazione con il medico.
Parla l’ordine dei medici
“Le cause sono multifattoriali”, ribadisce il presidente dell’Ordine dei medici Filippo Anelli. Ma al centro, spiega, resta sempre il dato legato alla carenza di personale: “Veniamo da anni di depotenziamento della sanità. Cala il personale e aumenta solo quello precario. Ci sono reparti retti da due o tre medici dove dovrebbero essercene dieci”, dice Anelli. Vien da sé, quindi, che i pochi dottori che ci sono siano sottoposti a un carico di lavoro eccessivo: “Il meccanismo lede uno dei principi essenziali del nostro lavoro: quello della comunicazione con il paziente. Come anche stabilito dalla legge 219 del 2017, dove c’è scritto che ‘la comunicazione è tempo di cura’, se parlo con il paziente non elimino tutta la sofferenza, ma il rapporto diventa diverso”. E, dunque, la possibilità che si generi violenza si riduce.
Il fattore comunicazione è così centrale, dunque? In un certo senso, sì, spiega Anelli. “Oltre alle conseguenze date dalla scarsità del personale, tra le cause delle aggressioni ci sono anche quelle di chi, oggi, non crede più nella scienza”, dice il presidente. Un motivo scolastico-culturale di fondo: “Se tu promuovi la scienza, promuovi la professione del medico. Se tu attacchi la scienza, demolisci l’autorevolezza della professione. Nelle scuole serve ribadire che la scienza oggi è alla base della crescita e dello sviluppo di una società civile del nostro paese”. L’alternativa, qual è? “Rifugiarsi tra le fattucchiere e le magie. Oggi, soprattutto dopo tutta la vicenda legata ai vaccini, troppe persone mettono in discussione la professione di medico e la sua autorevolezza come scienziato. Lo stato deve iniziare a garantire questo, è una sua responsabilità nei confronti dei cittadini“, dice Anelli.
Nel frattempo però, una prima (e piccola) risposta politica è arrivata. Ignazio Zullo, senatore di Fratelli d’Italia e capogruppo in commissione Lavoro e Sanità ha presentato un ddl al Senato che introduce una sorta di “Daspo” per le cure sanitarie. In sostanza, chi aggredisce un membro del personale sanitario non avrà accesso alle cure gratuite per tre anni (fanno eccezione le urgenze e quelle salvavita). Sulla proposta, posto un sincero ringraziamento, l’ordine dei medici ha qualche dubbio: “Noi diciamo grazie all’onorevole Zullo, ma ci sono perplessità sulla costituzionalità della norma. Sarebbe una ‘giusta’ punizione, una legge del contrappasso”, dice Anelli. La soluzione preferita resta quella dell’arresto in flagranza differita, che permette alla polizia di arrestare, entro 48 ore, chi è ritenuto colpevole di un’aggressione ai danni dei camici bianchi. Oltre a queste proposte però l’ordine non si sbilancia e “lascerà fare al Parlamento”. Il ministro della Salute Orazio Schilaci dal canto suo ha spiegato che il governo “tornerà sicuramente sul tema”. Ma “quando”, al momento, non è dato saperlo.