Il nuovo virus Mpox e la strada per far arrivare i vaccini dove servono

L’enorme potenza di fuoco produttiva messa sul piatto dalla società di biotecnologia Bavarian Nordic si scontra con la carenza di ordinativi a lungo termine: rimangono su carta le milioni di dosi necessarie a combattere il vaiolo delle scimmie nei paesi più fragili, ostacolati da costi troppo elevati

I vaccini contro il vaiolo delle scimmie sono stati sviluppati, esistono già le fabbriche in grado di produrre le dosi, ma al momento a mancare sono gli ordini di acquisto. È questo l’allarme di Paul Chaplin, amministratore delegato della Bavarian Nordic. Se non ne avete ancora mai sentito parlare, le cose cambieranno nei prossimi mesi. È infatti la società danese che ha sviluppato il più diffuso vaccino esistente contro l’Mpox (il nome dato al vaiolo delle scimmie per ridurre lo stigma).



Le dosi di vaccino, commercializzato come Imvanex in Europa e Jynneos negli Stati Uniti, sono infatti al momento troppo costose per i paesi più colpiti dall’epidemia, su tutti la Repubblica Democratica del Congo e la Nigeria. Secondo l’Africa Cdc ogni fiala costerebbe poco meno di 100 dollari. In sostanza, la protezione completa fornita da due dosi di vaccino costa un terzo del reddito medio congolese (circa 650 dollari annui). E così la capacità produttiva di Bavarian Nordic rimane per ora sulla carta: l’azienda si è detta pronta a produrre 10 milioni di dosi entro il 2025, proprio il numero che secondo l’agenzia per la salute pubblica dell’Unione Africana sarebbe necessario oggi per contenere l’infezione. Ma senza ordinativi a lungo termine, le fabbriche di terze parti con cui Bavarian Nordic ha concluso accordi per produrre il vaccino non daranno inizio alle attività. E così i 10 milioni di dosi rimangono sulla carta.


Per ora i vaccini arrivano in Africa grazie alle donazioni. Gli Stati Uniti hanno promesso 50 mila dosi, l’Unione europea 215 mila. Numeri insufficienti, ma pur sempre un inizio a cui dovrà seguire la richiesta ufficiale degli aiuti da parte della Repubblica Democratica del Congo che per ora non si è ancora mossa. Gavi, l’organizzazione benefica finanziata anche da Bill e Melinda Gates, si è detta pronta a mettere sul piatto 500 milioni di dollari.



Di fronte alle difficoltà dei paesi africani di approvvigionarsi di dosi, si riapre il dilemma che contraddistingue da sempre l’industria dei vaccini: i brevetti dovrebbero essere sospesi per aumentare la produzione, ridurre il prezzo e in ultima istanza rendere le dosi disponibili a tutti? L’ineguaglianza nell’accesso alle vaccinazioni è stata una costante della pandemia da Covid-19: i cittadini dei paesi del G7 hanno avuto una probabilità cinque volte superiore agli abitanti degli Stati più poveri di essere vaccinati. In quel caso tuttavia il Sud del mondo ha sofferto conseguenze meno dolorose dalla pandemia per via della ridotta età media: il Covid colpiva con i suoi effetti peggiori le persone anziane, decisamente meno numerose nel continente africano che negli stati industrializzati. Il caso del vaiolo delle scimmie da questo punto di vista è ovviamente differente.



Se i benefici della sospensione dei brevetti farmaceutici sono sotto gli occhi di tutti, lo sono a dire il vero anche i costi. Senza la protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale, quale azienda farmaceutica investirebbe miliardi per la ricerca su nuovi vaccini se non potesse assicurarsi di averne un ritorno per i propri azionisti, manager e dipendenti? Il caso della corsa al vaccino per il Covid-19 è eloquente: quattro vaccini estremamente efficaci furono sviluppati e approvati in meno di un anno dalle aziende farmaceutiche grazie ai contratti firmati con i governi ancor prima di conoscere i risultati delle ricerche. Contratti basati su brevetti in corso di sviluppo.



Più di due anni dopo lo scoppio della pandemia e dopo un lungo dibattito, nel 2022, il Wto decide per una parziale e temporanea revoca del brevetto sui vaccini per Covid-19. I paesi in via di sviluppo così hanno potuto avere accesso ad alcune informazioni protette da diritti di proprietà intellettuale per produrre le dosi per uso domestico senza il consenso delle case farmaceutiche che le hanno sviluppate. Una decisione, appoggiata anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che però non ha avuto le ripercussioni sperate: i paesi più poveri hanno continuato a faticare per avere accesso ai vaccini. Pur avendo a disposizione parte dei brevetti, senza infrastrutture, macchinari e know how produrre le fiale si è rivelata una mission impossible per (quasi) tutti.



La soluzione più realistica resta quindi quella delle donazioni. O degli acquisti in comune, per esempio da parte delle stesse Nazioni Unite, per poi distribuire i vaccini ai paesi con maggiori necessità. Soluzioni da implementare nel più breve tempo possibile prima che sia troppo tardi.

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