Il presidente francese ha abbandonato i termini controversi e carichi di sottintesi drammatici come eutanasia e suicidio assistito, preferendo parlare di “aiuto a morire” finendo per passare per quello che “ne sa più degli altri” e insegna al popolo cosa è meglio per lui. Lezioni per la nostra opposizione
Nelle numerose analisi che si sono lette in Italia sulla situazione politica francese emersa dopo il primo turno delle elezioni – e soprattutto sulle ragioni dell’avanzata della destra lepenista – in genere non è stato dato alcuno spazio al problema dei temi bioetici. Un’assenza inspiegabile perché si tratta di questioni che hanno costituito un aspetto importante della politica di Macron: dal diritto d’aborto inserito nella Costituzione agli interventi legislativi miranti ad allargare le maglie dell’eutanasia e del suicidio assistito. A questi si aggiungano l’apertura verso le politiche del gender e soprattutto la gravidanza per altri, con il seguito di vivaci polemiche interne che hanno coinvolto varie figure leader del femminismo e della sinistra.
Macron si è mosso con decisione e una certa astuzia sempre nel senso indicato dal “progresso” e dalla modernità. In realtà nella stessa Francia poco si è parlato a suo tempo dell’aborto promosso al rango di diritto costituzionale – decisione non necessaria e quanto mai discutibile. Molto più si è polemizzato, invece, circa il tentativo di cambiare l’ottima legge sul fine vita, opera di Jean Leonetti, che la Francia si era data nel 2005 per aprirsi a forme legali di eutanasia e di suicidio assistito.
L’aspetto più interessante della strategia adottata per realizzare questo cambiamento di rotta è consistito nella scelta lessicale operata da Macron: abbandonati i termini controversi e carichi di sottintesi drammatici come eutanasia e suicidio assistito, si è preferito parlare di “aiuto a morire”. Perifrasi generica che può voler dire tutto, anche l’opposto di quello che intende il presidente francese, dal momento che è usata, per esempio, non solo da chi propone le cure palliative come alternativa all’eutanasia, ma anche dai gruppi che si danno come compito quello di accompagnare con la propria affettuosa presenza i morenti sino alla loro fine. Cioè anche da chi è assai lontano dalla deriva eutanasica proposta dal presidente.
Comunque anche in questo caso il tono di Macron è stato quello fastidiosamente pedagogico di chi ne sa più degli altri e insegna al popolo cosa è meglio per lui. Un tono, peraltro, adottato dal capo dello stato su qualsiasi argomento: dai conflitti relativi all’economia ai temi che toccano questioni sensibili come la religione e l’atteggiamento verso la vita e la morte. Parla così, ostentando la sicurezza di chi sa che il mondo si sta muovendo in questa direzione, e che si tratta di decisioni che bisogna prendere per il bene di tutti. Come se non fossero, al contrario, vere e drammatiche questioni da affrontare con serietà e coraggio, ascoltando tutte le voci, invece che provvedimenti dettati indiscutibilmente dalla necessità dei tempi. Addirittura ovvi in un mondo senza Dio e senza particolari riguardi nei confronti di chi crede.
Ma con tutta evidenza al presidente francese questa operazione disinvolta – proporre soluzioni etiche prefabbricate come se fossero scontate e non meritevoli di alcuna vera discussione e travestire da scelte umanitarie le decisioni adottate – non è riuscita. Sicuramente non è piaciuta a tutti, forse nemmeno alla maggioranza dei francesi. La sconfitta di Macron deve far riflettere anche le nostre sinistre, così convinte che le battaglie sui “diritti”, al cuore del loro programma, siano infallibilmente quelle capaci di portarle alla vittoria.