L’alleanza di Washington non deve fallire

La Nato celebra 75 anni con un vertice pieno di prime volte. Gli obiettivi di Kyiv, gli anticorpi anti Trump e un Orbán come non lo avevate mai visto

Il 7 ottobre del 1998, il premier ungherese Viktor Orbán era a Washington, teneva una conferenza stampa dai toni affabili seduto accanto all’allora presidente americano Bill Clinton. Orbán era giovanissimo, con orgoglio ringraziava Clinton per aver lottato per realizzare il sogno dell’Ungheria di entrare nella Nato, e prometteva al capo della Casa Bianca che il suo nome sarebbe entrato nei libri di storia ungheresi come la persona che ha fornito “sicurezza e indipendenza nazionale all’Ungheria” tanto era grande e visionario lo sforzo per rendere l’Alleanza atlantica più forte. L’Ungheria, con un referendum approvato all’85 per cento, aveva scelto la Nato e assieme alla Polonia e alla Repubblica ceca, un anno dopo l’incontro tra Orbán e Clinton, è stato uno dei primi paesi che, dopo aver fatto parte del Patto di Varsavia, è diventato membro dell’Alleanza atlantica. Nel 2004 l’allargamento continuò verso l’Europa centrale e orientale, fino ai paesi baltici. Forse ricorderete: quando Vladimir Putin alla fine del 2021 aveva già disposto i suoi uomini lungo il confine dell’Ucraina, pronti a invadere, e raccontava di sentirsi minacciato dall’allargamento dell’Alleanza atlantica, diceva che avrebbe fatto un passo indietro se la Nato fosse tornata ai suoi confini del 1997, chiedeva quindi di abbandonare tutti quei paesi più esposti all’espansionismo militare di Mosca e chiedendolo sapeva bene che nessuno avrebbe potuto acconsentire: voleva un “no”. Nessuno dei paesi entrati dopo l’invito del ’97 sarebbe disposto a lasciare la Nato. Neppure Orbán, che non è più giovane ma è sempre premier e usa toni più affabili con Putin che con i suoi alleati, sarebbe disposto ad accontentare il Cremlino. Quest’anno l’Alleanza atlantica compie 75 anni, festeggerà a Washington con un vertice in cui non sono ammessi né passi indietro né fallimenti.


Alleati da 75 anni. Abbiamo chiesto all’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, ex segretario generale ad interim della Nato, perché questo summit che inizierà martedì 9 luglio e si concluderà giovedì 11 è diverso dagli altri: “I vertici si assomigliano un po’ tutti – ci ha risposto – ma questa volta abbiamo un’ambientazione significativa, Washington, dove tutto è iniziato nel 1949. Poi dobbiamo tenere presente che questo vertice avrà un problema strisciante in sottofondo: la consapevolezza di una leadership americana incerta. Non se ne parlerà apertamente, ma non si potrà ignorare”. Sarà un compleanno importante, ma rischioso, con tutti gli occhi puntati addosso. Un altro cambiamento sarà quello del segretario generale della Nato, verrà ratificata la nomina di Mark Rutte, che prenderà il posto di Jens Stoltenberg. L’ambasciatore ci ha raccontato che il ruolo del segretario generale è cambiato molto negli anni, “quando la Nato era un’alleanza più piccola, i paesi contavano di più, discutere in venti è ben diverso che farlo in trentadue. Ora il processo è più complesso, la Nato è un’alleanza e procede per consenso, non si vota e il segretario ha un ruolo di sintesi”. In un’alleanza più larga, le opinioni dei singoli valgono meno, è la sintesi del segretario che convoglia il consenso, è sempre più una guida, e se Stoltenberg si è trovato anche a reinventare il suo ruolo, a traghettarlo, Rutte sarà il primo a vestire questi nuovi panni del segretario generale. Sarà anche il primo vertice a trentadue, con l’adesione della Svezia dopo quella della Finlandia, “ogni anno la Nato deve affrontare significati sempre più ampi del termine ‘sicurezza’. Sicurezza non è più un soldato con un fucile in mano, ma vuol dire proteggersi dalla disinformazione, affrontare il tema della resilienza della popolazione, parlare anche di sanità o di cambiamento climatico. C’è anche un concetto più ampio relativo alle aree di sicurezza, gli Stati Uniti ormai da tempo vogliono imporre agli europei una direzione indopacifica, un’attenzione alla Cina, descritta a volte come avversario, a volte come competitore”. Ma gli europei gli occhi li hanno fissi a est, alla guerra della Russia contro l’Ucraina e questo sarà il terzo vertice di guerra.

Sarà il primo vertice a trentadue e con l’arrivo di un segretario generale dal ruolo rivoluzionato: Mark Rutte

Cosa si aspetta Kyiv. Lo scorso anno, i paesi dell’Alleanza atlantica si riunirono a Vilnius. La capitale della Lituania era tutta vestita di blu e di giallo, le strade, gli autobus, persino le chiese, tutto mandava messaggi d’amore a Kyiv, ma in tanta accoglienza, il presidente Volodymyr Zelensky arrivò accigliato: si aspettava una strada che portasse l’Ucraina verso la Nato, una promessa, un’indicazione temporale, che non trovò. Non ci saranno date e promesse neppure quest’anno, l’ambasciatore Minuto Rizzo ci ha detto che l’impegno dell’Alleanza rimane forte e concreto, ma le divisioni sul futuro di Kyiv permangono. L’Ucraina non si aspetta un invito, a questo vertice arriva con idee diverse, e anche con voglia di bilanci. Victoria Vdovychenko, esperta di difesa del Center for Defence Strategies, ci ha detto cosa si aspetta Kyiv dall’incontro a Washington: “Approvazione dei finanziamenti della Nato, prosecuzione delle garanzie di sicurezza firmate a Vilnius, che servono come struttura e sono importanti. Finora abbiamo siglato venti Patti di sicurezza, uno con l’Unione europea di recente e con gli Stati Uniti durante il G7. Danno il senso della cooperazione con grandi potenze, dello scambio che serve all’Ucraina per migliorare. Poi ci aspettiamo che il gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, ossia il gruppo di Ramstein, si coordini maggiormente con la Nato. La struttura delle nostre intese e alleanze serve a fare in modo che l’assistenza non sia caotica, ma strategicamente inserita. Tutti i patti e le garanzie vanno in un’unica direzione”. Non serve provare risentimento per quello che è accaduto – o meglio, che non è accaduto – a Vilnius, bisogna guardare avanti e prepararsi. “Non si parlerà dell’adesione dell’Ucraina – anche Vdovychenko lo esclude – ma ci aspettiamo che continui la cura per le forme di sostegno che abbiamo già. Lo scorso anno, a Vilnius abbiamo visto la creazione del Consiglio Nato-Ucraina, che ha fatto in modo che Kyiv avesse un suo contesto in cui comunicare direttamente con l’Alleanza atlantica e ha reso l’Ucraina un membro che parla da pari con gli alleati, che discute come se fosse interno e che vede un sistema coeso e pronto a partecipare alla sua protezione e al suo sviluppo”. Questo però sarà anche il vertice degli anticorpi, che non riguardano soltanto Kyiv, certo per Kyiv sono vitali, ma riguardano il sistema di sopravvivenza di tutta un’Alleanza. La Nato si blinda e si protegge, dalla Russia e anche dagli scossoni interni, quello più grande è quello che potrebbe avvenire nella Casa Bianca. Secondo Vdovychenko, l’Alleanza sta già creando i suoi anticorpi e poi c’è un contrappeso che invece tocca agli europei esercitare aspettando le elezioni americane, nonostante i problemi interni, nonostante i recalcitranti, tra i quali spicca proprio Viktor Orbán.

Orbán, l’allargamento e Rutte. Oggi Orbán, prima di dare il suo assenso all’allargamento della Nato e alla nomina dell’ex premier Mark Rutte come segretario generale dell’Alleanza, ha perso molto tempo aspettando che cadesse il veto turco e poi si è negoziato una posizione privilegiata rispetto agli altri alleati. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Budapest cerca di pagare il meno possibile le conseguenze dell’isolamento russo e oltre ad aver mantenuto i rapporti con Mosca ha ottenuto esenzioni sulle sanzioni per le risorse russe, e infatti compra il petrolio russo, ha detto che non avrebbe lasciato passare sul territorio ungherese gli armamenti diretti in Ucraina e ora ha chiesto alla Nato di non partecipare allo sforzo collettivo e solidale dell’Alleanza per la difesa ucraina: pago la mia parte, ha detto Orbán, ma non per l’Ucraina. Come accade anche nei consessi europei, quando si può, si concede al premier ungherese quello che chiede: mancava il suo assenso per la nomina di Rutte e poiché l’apporto ungherese alla difesa ucraina non è sicuramente dirimente, l’accordo è stato fatto. Così Rutte potrà diventare il prossimo segretario della Nato e oltre a dover mantenere l’unità dovrà anche guidare la trasformazione necessaria per emancipare l’Alleanza dall’America, soprattutto se dovesse arrivare Donald Trump. Rutte lavorava da almeno un anno a questa nomina, ha partecipato alle coalizioni per armare in modo efficace l’Ucraina e non ha mai fatto mancare il suo appoggio: è anche un grande negoziatore, e questa qualità gli sarà utile.

Zelensky questa volta non si aspetta date o promesse. Intanto la Nato cerca di trasformarsi e di diventare “Trump proof”


Nei centri studi di Washington. Il dibattito su “quanto” investono i membri della Nato va superato, per entrare su un terreno diverso: quello del racconto di “come” vengono spesi i soldi e quale tipo di responsabilità collettiva l’Europa è pronta a prendersi, per togliere parte del peso dalle spalle degli Stati Uniti. Se ne parla molto in questi giorni a Washington, con molti think tank della capitale impegnati a condividere studi e idee sul futuro della Nato, in vista del vertice. Il possibile ritorno di Donald Trump alla presidenza e l’ascesa di Marine Le Pen in Francia significano tempi duri per la Nato e le idee che circolano puntano a trovare le strade migliori per proteggere l’Alleanza e dare nuove armi dialettiche a Mark Rutte, quando a ottobre si insedierà come nuovo segretario generale. “Bisogna per esempio andare oltre il concetto del 2 per cento del pil da destinare alla difesa”, dice Philippe Dickinson, che guida gli Studi sulla sicurezza transatlantica all’Atlantic Council. “Il focus sul 2 per cento ha prevalso perché è semplice da comunicare, ma adesso è molto più importante concentrarsi sull’altro vincolo che hanno i paesi membri: quello di destinare almeno il 20 per cento di quegli investimenti all’equipaggiamento da combattimento e alla ricerca e sviluppo. Dobbiamo parlare cioè di come vengono spesi i soldi, per capire la reale efficienza della Nato e dare un segnale di responsabilità che venga incontro alle obiezioni degli scettici”. A Rutte viene chiesto di alzare anche un po’ di più la voce con chi ancora non è al passo con gli impegni collettivi dell’Alleanza. A Washington si parlerà molto del traguardo raggiunto di avere 23 dei 32 paesi membri che hanno superato il 2 per cento del pil. Ma anche dei nove paesi che ancora sono lontani, tra cui l’Italia. Sul traguardo del 20 per cento le cose vanno meglio: quasi tutti i paesi l’hanno centrato, con l’eccezione di Canada e Belgio.

Mettere i gioielli al sicuro. Ivo Daalder è stato l’ambasciatore americano presso la Nato dal 2009 al 2013 e ha detto al Wall Street Journal: “Una delle ragioni per cui il cambiamento è fondamentale è la necessità di mettere al sicuro l’assistenza all’Ucraina dal ritorno di Trump”. Ha detto proprio: “Trump proof”, a prova di Trump, perché “piuttosto che avere Washington alla guida della gestione e della formazione, deve essere la Nato ad avere questa guida. Così anche se gli Stati Uniti dovessero ridurre o ritirare il loro sostegno, questo non sarà eliminato”. Il quotidiano americano ha pubblicato un’esclusiva in cui dice che l’Alleanza avrà un funzionario civile a Kyiv, che ci sarà un nuovo comando a Wiesbaden, in Germania, per coordinare le forniture militari dirette a Kyiv e per fare la formazione dei soldati ucraini. L’operazione sarà chiamata Nato Security Assistance and Training for Ukraine, sarà composta da personale di tutti i 32 paesi e prenderà la guida della missione che finora è stata condotta dagli Stati Uniti. E’ un cambiamento che è in discussione da tempo, l’idea si sta rafforzando nelle ultime settimane visto che anche la Francia potrebbe avere una maggioranza parlamentare anti Nato e serve per rendere l’Alleanza meno vulnerabile alle dinamiche politiche interne agli stati membri. Ma anche i trumpiani si stanno organizzando: il sito Politico ha sentito molti esperti che in passato hanno avuto a che fare con l’ex presidente e scrive che Trump non vuole ritirarsi dalla Nato, come spesso minaccia, ma far sì che gli altri alleati non diano il sostegno americano per scontato. Nell’idea trumpiana, gli Stati Uniti manterranno l’ombrello nucleare sull’Europa, le basi in Germania, Regno Unito e Turchia e le forze navali, ma artiglieria e logistica passerebbero sotto il comando europeo. Poi ci sarebbe una Nato a due velocità, a seconda di quanto ogni paese contribuisce all’Alleanza: il senso è che non puoi pretendere di avere tutti i benefit della sicurezza fornita dall’America se non paghi la tua parte. E l’Articolo 5 secondo cui si interviene se un alleato è attaccato? Secondo i trumpiani, il testo di questo articolo fondativo dell’idea stessa di Nato è vago, non dice che tutti devono intervenire “militarmente”, quindi si vedrà caso per caso. Se suona quasi più minaccioso di un ritiro americano dalla Nato è perché in effetti lo è: è probabile che Trump non voglia rendere la Nato più forte, anzi. Secondo due esperti, se l’ex presidente dovesse tornare alla Casa Bianca, valuterebbe un accordo con Putin fatto così: la Nato si impegna a non allargarsi a est con Ucraina e Georgia, mentre si negozia con Mosca quanto territorio ucraino Putin potrà tenersi. Alla luce di questa prospettiva, si capisce perché c’è un gran da fare per rafforzare il lato europeo della Nato e creare meccanismi a prova di Trump.

Il vertice della Nato sarà importante anche per Joe Biden, che sta attraversando il momento più difficile della sua ricandidatura alla Casa Bianca. La pessima performance al dibattito della scorsa settimana ha aperto a discussioni e prese di posizione sul futuro del presidente nella corsa elettorale e ora la possibilità che la convention del Partito democratico a Chicago, ad agosto, sia “aperta”, cioè con un candidato da definire, non è più così remota. Biden sta cercando di ricompattare il suo partito (e i tanti commentatori che chiedono le sue dimissioni) senza grande successo, ma il palco internazionale del vertice della Nato potrebbe essere per lui un momento cruciale: la sua età avanzata forse lo costringerà a fare un passo indietro, ma se c’è un fronte su cui non ha mai avuto cedimenti né confusione è proprio la difesa dell’Ucraina e dell’occidente dall’aggressione della Russia. E’ il suo punto di forza, e quello di tutti noi.


(ha collaborato Marco Bardazzi)

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