Questo mese il Foglio Review ha una copertina un po’ speciale. Ce la racconta Ivan Canu

Si intitola “Maturità”e a realizzarla è stata Sara Di Giovanni, una studentessa del Mimaster di Milano

Mi master | Il Foglio Review

La cover della Review di questo mese ha una genesi un po’ speciale. Si intitola “Maturità”e a realizzarla è stata Sara Di Giovanni, una studentessa del Mimaster di Milano. Ivan Canu, che il Mimaster lo dirige, ci ha raccontato di questa collaborazione e delle sfide che attendono oggi i giovani illustratori.

Come nasce la collaborazione tra il Mimaster e la Review?

Lo scorso febbraio ho proposto all’art director di Review di dedicare un workshop di Mimaster alla progettazione di una copertina della rivista, come il Mimaster fa da anni con diverse realtà editoriali, italiane e internazionali. Lo scopo è di connettere i giovani aspiranti illustratori della classe annuale del master con le realtà operanti nei diversi mercati, offrendo loro una vetrina reale attraverso un’articolata progettazione didattica.

Quali sono state le indicazioni date agli allievi per la realizzazione delle cover? Se e come sono stati guidati nell’illustrazione del tema scelto?

Di concerto con la redazione, a marzo è stato condiviso uno storico delle copertine illustrate finora pubblicate nella Review, come modello di ispirazione e referenze, layout con misure e gabbia grafica per impostare il lavoro di progettazione. Il tema proposto è stato la scuola, i giovani che iniziano o terminano gli studi, una stagione quindi fra inizio e fine dell’estate, colori vivi e luminosi, molte persone, luoghi aperti e allegri, adolescenti diversi e iperattivi oppure rilassati, abbracci, scherzi, qualche bacio, una prima sigaretta, zaini e borse, libri e dizionari. Un tema un po’ stile New Yorker, cui anche l’impostazione della copertina della Review rimanda idealmente e che consente molta libertà di espressione.

A guidare l’aula come tutor professionista, abbiamo chiamato Chiara Zarmati, illustratrice che si è formata anni fa al Mimaster e oggi collabora ad esempio con il New York Times. Alla sua sensibilità ed esperienza si sono affidati i venticinque allievi del master, dalla prima fase delle idee veloci per un primo giro di discussione, alle bozze più evolute sulla base delle scelte che Chiara ha indirizzato man mano, fino agli esecutivi (in alcuni casi, più d’uno come proposta)..

La cover di questo mese è stata realizzata da Sara Di Giovanni e si intitola “Maturità”. Cosa vi ha convinto di questo suo lavoro?

La pluralità di approccio – estetico, tecnico ed espressivo – ha ben impressionato la redazione che a chiusura del workshop ha fatto una preselezione di diverse proposte, alcune delle quali fino all’ultimo sono rimaste nella lista ristretta. Alla fine, il segno di Sara è stato molto convincente, così come la prospettiva scelta e la freschezza dell’idea, che rimanda ad una gioventù non nostalgica ma molto attuale, riconoscibile senza essere didascalica. Inoltre, il lavoro generale è stato così apprezzato che la redazione ha deciso di selezionare all’interno della lista anche la copertina del numero di settembre, così che il tema della scuola venisse interamente coperto, sia la fine dell’anno che l’inizio di quello nuovo. È per noi motivo di grande orgoglio che il lavoro della classe del master sia stato valorizzato dalla redazione della Review e che questo porti ad un rinnovo della collaborazione anche in futuro.

Quali sono oggi le maggiori sfide che deve affrontare un giovane che vuole fare l’illustratore?

A chi inizia adesso un percorso creativo mi viene da suggerire di essere rigorosi, allegri e non posati, interiori e non cupi, studiosi e curiosi di ogni cosa, pratici e immediatamente risolutivi. La nostra è una professione creativa di comunicazione, perciò qualcosa che si proietta fuori di noi. La finalità è far capire un messaggio, acchiappare lo sguardo di chi altrimenti forse neppure si soffermerebbe su un articolo o sul titolo di un libro. Trattandosi di professione, bisogna studiarne le regole: ci sono clienti, mediatori, committenze, collaboratori, materiali, spese, note, tasse.

L’illustrazione si adatta a temperamenti e nature molto diverse, da quelli più artistici e talvolta anche naïf a quelli più strutturati e disciplinati, ai fanatici del dettaglio, agli astuti osservatori dei social e delle mode. Il successo dell’illustrazione crea un ampliarsi delle possibilità e applicazioni professionali; quindi, un gran vantaggio per chi vi si trova immerso. I nostri sono tempi di contaminazione e spesso al Mimaster abbiamo studenti che provengono da professioni o formazioni non artistiche o accademiche quali architettura, design del prodotto o industriale, fisica teorica, farmaceutica, le cui strutture mentali e capacità d’analisi si rivelano un vantaggio nell’affrontare aspetti più progettuali. Anche l’illustrazione editoriale si avvale sempre di più di professionisti in grado di comprendere meglio le necessità non solo estetiche, artistiche, di clienti complessi. Le sfide sono di comunicazione, in un mondo che tende a infantilizzare la vita adulta e a responsabilizzare quella dei bambini. Altre sfide sono rappresentate dall’impoverimento generalizzato del mondo dell’editoria, con i periodici cartacei che attraversano la crisi più grande dall’introduzione del digitale nel processo produttivo, senza che la digitalizzazione abbia realmente aperto altri mercati dove l’illustrazione possa farsi valere come mezzo di lettura. Se i libri resistono come rappresentanti della perfezione oggettuale, altri mezzi di comunicazione faticano a uscire da culture residuali, come la pubblicità. Il mercato dell’illustrazione però si pone in termini globali, non è più una questione nazionale, ci si rivolge sempre più al di fuori dell’Occidente e alle crescenti editorie asiatiche.

Se e come influirà l’intelligenza artificiale su questo tipo di professione?

È già influente, in generale nel sistema comunicativo e già rampante in quello editoriale. Nell’ambito dell’illustrazione, fino ad ora gli interventi sono stati ludici o dimostrativi, cercando di attingere all’impressionante mole di dati inglobati dai sistemi di AI, nutriti da anni di social e di foto, disegni, immagini che sono stati immessi gratuitamente e senza troppi ragionamenti. L’AI non genera nulla da sola, così come Photoshop non ruba il lavoro ad un illustratore che usi l’acrilico o l’olio. Essa chiama i creatori di contenuti ad essere così creativi, a far diventare il generatore sempre più sofisticato. A che pro usarla per richiamare in vita lo stile di Frazetta o di Moebius, applicandolo a personaggi di film o di serie tv popolari? Quello è un esercizio che diverte soprattutto chi non disegna, di suo. Oppure – e sarebbe già questo un caso significativo – un art director a cui hanno chiesto di tagliare il budget delle immagini ma non la qualità della pubblicazione. Usare l’AI in quel caso sarebbe una tentazione forte, ritenendola più originale del ricorso alle immagini in stock. Ma l’art director dovrebbe aggiungere un lavoro complesso a quello che già fa. E non è meno complesso. Quindi, forse, non è questo lo scenario paventato più probabile. L’AI per me è la seconda rivoluzione digitale ma con possibili conseguenze superiori a quella dell’ingresso dei software nella vita dei creativi e degli editori. Superiori ma non necessariamente negative. A demonizzare il nuovo ci vuol poco, a studiarlo e capirne le applicazioni e anche i confini ci vuole attenzione, curiosità, applicazione e un po’ di etica. L’etica è forse ciò che differenzierebbe l’intelligenza umana da quella artificiale. Non è l’AI che può usare referenze (in ogni campo creativo) aggirando il diritto d’autore, ma chi l’AI adopera come generatore creativo. L’ignoranza, non solo nella giurisprudenza, non ha mai scusanti.

Cosa consiglierebbe a chi si avvicina al mondo dell’illustrazione? Quali sono le caratteristiche fondamentali per poter trovare un proprio spazio in questo tipo di professione?

Di illustratori bravissimi, perfino prossimi alla definizione di genio ce ne sono migliaia al Mondo. Ma non è una sfida impari, perché il linguaggio visuale è molto più ampio di quanto i dizionari personali possano contenere. Chi ha poche parole non ha una conversazione molto interessante e di conseguenza esprime male quello che ha in testa. Chi ha molte parole, può scegliere come combinarle, ha un tono, uno stile. La sintesi del primo è una necessità, quella del secondo è una scelta. È quindi un fatto di consapevolezza. La preoccupazione dei giovani illustratori è quella di trovare la propria voce, lo stile dicono i più. Ma c’è lo studio dietro, una costruzione quotidiana di un vocabolario aggiornato, una disciplina formale che non viene mai meno e si applica al più semplice dei disegni come al più elaborato dei libri. Consapevoli che nessuno nelle arti applicate inventa nulla ma che ancora si possono trovare variazioni sul tema e declinazioni stilistiche stimolanti e differenti. Si ruba dai modelli, come i più grandi hanno sempre fatto nella storia dell’arte e della comunicazione. Quel furto, generato da una necessità espressiva e da una reale, porta con sé ammirazione verso i modelli, genera creatività a cascata. L’imitazione, invece, vale per gli sketch comici. Il resto è mestiere, che si acquisisce e si affina. L’illustrazione, poi, non è un mestiere solitario. Ci si confronta di continuo, ci si arricchisce grazie al contatto con altri professionisti. E le possibilità sono tante e molto varie, se non si pensa di star seduti e aspettare che arrivi la fatidica chiamata o l’e-mail che cambi la vita. L’illustrazione non è un paese per pigri.

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