La rivoluzione del “ritorno all’oralità”, dal podcast in poi. Parla Aldo Grasso

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Il totem della comunicazione moderna e il nuovo modo di comunicare che ci aspetta. “Andiamo verso la cultura dell’immateriale, come risultato di una grande rivoluzione iniziata alla fine del secondo scorso: il passaggio dall’analogico e il digitale”, dice il critico e storico della tv 

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Siamo di fronte a una grande rivoluzione, una rivoluzione che apparentemente prevede quello che può sembrare un ritorno al passato. Precisamente, dice Aldo Grasso, docente di Storia della televisione e critico televisivo sul Corriere della Sera, a un ritorno all’oralità: “Il totem della comunicazione moderna”, dice Grasso, “oggi è il podcast: tutti propongono podcast, tutti li ascoltano. Sembra quasi che la comunicazione abbia trovato un suo canale d’elezione, prevale oggi la meraviglia nel poter ascoltare qualsiasi cosa. Non solo: se si contano le rassegne stampa presenti tra radio, TV e siti, ci sono quasi più rassegne stampa che giornali. E questo è un altro sintomo della tendenza: si preferisce ascoltare piuttosto che leggere”. Non si andrà, alla lunga, verso un sapere epidermico? O forse il dilagare della cultura “ascoltata” è già effetto dell’incapacità di concentrarsi? “Io penso che questo fenomeno sia legato a un grande cambiamento in atto nel mondo della comunicazione – non possiamo o non possiamo ancora sapere se è un bene o un male”, dice Grasso: “Andiamo verso la cultura dell’immateriale, come risultato di una grande rivoluzione iniziata alla fine del secondo scorso, da noi confusa con un cambiamento tecnologico: parlo del passaggio dall’analogico e il digitale. E, certo, dal punto di vista tecnologico è senz’altro un altro mondo rispetto a prima: tutti i mezzi di comunicazione usano lo stesso segnale; attraverso una convergenza tra mezzi sono nati internet e lo smartphone, lo strumento che racchiude in sé mezzi di comunicazione prima separati. Ma questa appunto è soltanto la lettura tecnologica del fenomeno”.
 

Poi c’è quella antropologica: “Il punto è proprio nel passaggio dalla cultura analogica a quella digitale. Facciamo l’esempio della fotografia: prima dovevi possedere una macchina fotografica, comprare la pellicola, scattare le foto, farle sviluppare, farle stampare. E il giradischi? I solchi dei long playing erano qualcosa di materiale. Oggi invece la stiamo a poco a poco perdendo, questa mediazione speculare con la realtà. Abbiamo una mediazione artificiale: il segnale digitale è creato elettronicamente, non ha più bisogno di questi processi. Aveva intuito qualcosa il sociologo Marshall McLuhan, in Italia sottovalutato. Diceva: i mezzi di comunicazione sono protesi dei nostri sensi. Il telefono una protesi dell’orecchio, la tv una protesi degli occhi. Intuiva, McLuhan, che saremmo andati verso un mondo in cui questi mezzi di comunicazione sarebbero stati essi stessi  ‘ambiente’. Ecco, non c’è più distinzione tra realtà e rappresentazione, l’ambiente in cui viviamo è determinato invece da questo nuovo rapporto digitale con il mondo”.
 

Esempio: “I ragazzi oggi non sanno più che cosa sia il denaro, mentre prima il denaro era qualcosa di simbolico che rappresentava la concretezza di un rapporto: si conquistava come paghetta un biglietto da diecimila lire, si andava a comprare un libro, si dava alla cassa quel biglietto, si sperava in cambio di ricevere un resto. Le ultime generazioni usano direttamente e da subito la carta di credito, non hanno più idea di che cosa significhi avere un rapporto concreto con il denaro”. Dove si è diretti? “Oggi siamo nel pieno del processo”, dice Grasso, “non dove si andrà, sappiamo che il suddetto ritorno all’oralità è uno dei segni più significativi di questa trasformazione. Non hai più rapporto materiale con il libro o con il giornale. Preferisci ci sia qualcuno che ti legga le notizie, qualcuno che ti racconti una storia”. Ma questo non ci porterà a una perdita della capacità di capacità di introspezione e di scrittura? “Non sappiamo se l’approdo sarà negativo. Quel che è certo è che andiamo incontro a un grande cambiamento antropologico. Ed è probabile che, in futuro, il tipo di concentrazione che noi mettiamo sui libri la garantisca l’intelligenza artificiale”.
 

Scommessa o regresso? “È probabile che si aprano nuovi campi di interesse. E sarebbe comunque sciocco non cominciare a comprendere, non riflettere su questa nuova realtà”. Che significa anche, dice Grasso, “narrativizzare tutto, nel senso che a un discorso logico, a un’analisi dei fatti, si va sostituendo sempre più spesso il loro racconto. Anche questo è un segno importante di un cambiamento inarrestabile, che coinvolge anche la grammatica televisiva: ormai l’ospite di un programma si collega via internet nella normalità, non per emergenza. E già capita di ascoltare un articolo su un sito invece di leggerlo. Presi da queste novità, non ci ragioniamo. Invece dobbiamo imparare a cambiare stile, e  prepararci a un tipo di comunicazione molto diversa da quella a cui eravamo abituati”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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