Il mondo incantato di Borgo Egnazia

Se Giorgia Meloni ha scelto il borgo immaginario per il suo G7, i vacanzieri di sinistra puntano sulla Puglia reale

A noi boomer di sinistra depressi dalle elezioni europee i baci di Giorgia Meloni e Rishi Sunak sotto gli ulivi di Puglia sono risultati una madeleine improvvisa, ricordando gli altri baci che fecero epoca e scandalo, quelli tra Achille Occhetto e la moglie Aureliana Alberici, che nel 1988 posando per un settimanale lanciarono Capalbio nel turismo domestico (dando scandalo perché considerati troppo narcisisti ed esibizionisti, seppur coppia regolarmente sposata, pensate oggi). Ma trentasei anni dopo mentre Capalbio si scopre di destra (trionfo alle Europee con FdI primo partito al 41 per cento nella “Piccola Atene”), se il signor Meloni è rimasto all’Eur e la moglie del premier Sunak a Londra, chissà che storia d’amore potrebbe essere, questa angloitaliana tra Downing Street e il Torrino.



Ma soprattutto ciò che è sicuro è che il G7 salentino lancerà se ancora ce n’era bisogno la Puglia nel mondo, anzi “Apulia”, come in antico e moderno slang cosmopolita. Uno di quei luoghi ancora un po’ da scoprire per americani e cinesi (non gli indiani che qui da anni organizzano matrimoni colossali con elefanti); per condannarla definitivamente all’overtourism. La Cnn come è noto ha raccontato che la Puglia è una specie di Messico, “La violenza di tipo mafioso è in aumento nella stessa regione italiana dove i leader del G7 si incontreranno”, dice la perfida tv americana, suscitando ovvie polemiche, ma non è la prima volta che l’emittente si scatena sulla regione tarallica, forse qualcuno ha avuto brutte esperienze, ma effettivamente la Puglia è il nostro Messico a portata di mano. Remota, misteriosa, dalle grandi distanze e dalla popolazione cordiale. Chissà cosa penseranno i leader mondiali meno avvezzi a questa bella regione, sparpagliati tra gli ettari del “Borgo Egnazia”, sul quale già sono scoppiate le polemiche di prammatica.

Già perché si dice che “Borgo Egnazia” non è un vero borgo, è tutto nuovo, e qui siamo al centro della questione. Il New York Times l’ha paragonato a un “villaggio Potëmkin”, non c’entra Fantozzi ma il principe russo che aveva costruito in Crimea bellissimi paesi di cartapesta per nascondere alla zarina Caterina II il degrado del suo paese. Ma sulla rubrica della posta di Francesco Merlo su Repubblica, ormai quinta o sesta camera dello Stato, ieri un ex assessore di Fasano, comune in cui sorge Borgo Egnazia, scriveva un’appassionata lettera che forse servirà anche a ricompattare un centrosinistra finalmente maturo: rivendica, l’ex assessore Fabiano Amati, di esser stato parte di una giunta di sinistra che autorizzò i lavori, nel 2000, per il borgo “calato con attenzione nel contesto paesaggistico, tanto da non sembrare Las Vegas”; e infine: “Giorgia Meloni non ha la nostra simpatia politica, ma la ringraziamo per averci scelti e per averci messi sotto gli occhi ammirati del mondo”. Merlo però rilancia, ricordando come Reagan in un G7 del 1983 invitò tutti a Williamsburg in Virginia, e lì ogni mattina “veniva rimessa in scena in un finto villaggio del XVIII secolo la Rivoluzione americana”.



Dunque tutto finto, la Puglia come il Far West. Chi vuol trovare il male anche dove male non c’è continua ad attribuire il Borgo Egnazia all’avvocato Sergio Melpignano, tributarista defunto nove anni fa che a un certo punto era finito in una Tangentopoli romana, e per ironia della sorte fu vicino al centrosinistra (era anche proprietario della cantina La Madeleine che poi vendette a Massimo D’Alema). Ma l’Egnazia Borgo si deve tutto a una signora, la sua signora, la formidabile Marisa Melpignano, che si ritrovava sul groppone queste terre del marito e in epoche remote (cioè fino agli anni Novanta) in cui la Puglia era solo Lino Banfi e “porca puttèna” ed emigrazione a Milano, si mise in testa che invece che colossale accollo le terre potevano diventare meta di turismo e per di più di lusso. Tutti risero. Qualche tempo fa ospiti all’Egnazia mi raccontò che per il progetto alberghiero aveva sondato le meglio archistar nazionali, ma nessuno le aveva presentato un’idea accettabile, tutti con trovate anonime e moderne. Puntò allora su un giovane studente di Belle Arti, occasionalmente cameriere nella sua casa romana, con talento da scenografo, tale Pino Brescia, e gli affidò il colossale progetto (il Brescia, oggi venerato maestro del new salentinism, con il magazine “OltrePuglia” parla di incontro “karmico” con i Melpignano).

Karmico o no, oggi “Borgo Egnazia” è la vera Puglia immaginata, la Puglia e dunque l’Italia sognata da uno straniero o straniera, perché come in Messico c’è una nuova presidente femmina, e l’altra contendente era pure femmina, l’anima dei posti qui è femminile, e forse anche questo ha attirato Meloni in versione Melonera. “Borgo”, dunque, geniale intuizione nata mentre nasceva l’epoca e l’epica dei più belli d’Italia, tutto un mondo, la campagna con le comodità della città, il tempo ritrovato ecc. ecc. ma qui pieds dans l’eau, e con un certo gigantismo tipo castello Hearst di San Simeon: appena entrati nella tenuta si giunge in una enorme reception, scura e illuminata da mille fiaccole, e poi si entra in un labirinto di costruzioni basse e alte, carinissime, candide, cosparse di comignoli, campanili, torrette, balconcini, patii. “Rudero però tirato al fino”, come diceva Franca Valeri in “Parigi o Cara”, e all’interno delle camere, degli appartamenti e delle ville – ce n’è per tutti i gusti, dalla doppia appunto alla villa per celebrità amanti della privacy – ecco altro candore, con candele, lanterne, sacchi di iuta, rami, bottiglie di vetro, ninnoli, scalette di legno decorative, molto spago, onnipresenti vasoni di vetro da farmacia ripieni di nuovo di ninnoli, cioè un’estetica di lusso soffuso un po’ BravaCasa che piace tantissimo agli ospiti soprattutto stranieri anche per i formidabili prezzi. “Borgo Egnazia” con le due piscine a sfioro colossali si inserisce in quell’architettura immaginaria d’alta gamma che ha visto le sue migliori rappresentazioni in Costa Smeralda con gli architetti Vietti e Couelle, ma anche nei villaggi sognati in Gran Bretagna da Léon Krier, l’architetto di Re Carlo d’Inghilterra che ricrea alla perfezione paesini inglesi, un po’ tipo Serravalle Outlet. O Milano 2 o 3.

Alla domanda sul dove tragga ispirazione, il Brescia risponde: “Credo fortemente nella connessione con l’universo, traggo giovamento dalla meditazione, dai viaggi e dal silenzio. Ho sviluppato un filo diretto con l’assoluto ed è lui a guidarmi. Non amo farmi contaminare da qualcosa di già esistente poiché non rappresenterebbe me ma chi lo ha pensato”. Dunque regno del più puro fantasy (per questo piacerà a Meloni?) ma alla fine, vero o finto, che importa? Questo Salento immaginato “spacca” tra le due piscine colossali (Egnazia ha anche una spiaggetta davanti, ma bisogna uscire dalla tenuta e non viene mai voglia), ulivi non spazzati via dalla Xylella, tagliate di frutta che svettano su piatti di ghiaccio, Wi-fi perfetto. Fuori appunto non vorresti uscire per nessuna ragione, perché fuori c’è il Sud vero, e il meraviglioso borgo immaginario ci esonera dalla realtà che non vogliamo vedere, il traffico polveroso e intenso, i concessionari di macchine, l’abuso edilizio, la lavatrice abbandonata, l’ulivo moribondo, le insegne al neon losangeline, lo spontaneismo salentino che vede case e ville del più fantasioso e sfrenato modernismo abusivista (più gioioso di quello calabrese, ci sono studi precisi, sugli stili dello spontaneismo salentino, pare si debba anche alla forte migrazione di ritorno, e dunque chi è stato a Berlino torna e fa il suo Bauhaus, ecc.).

Egnazia è anche il resort da cui parte la rinascita della Puglia. Tutto nasce nel 1996, quando sorge il fratello maggiore anzi sorella, la Masseria San Domenico, seminale avamposto del lusso, stesso concept tra pietra a secco e fibra ottica, stessa famiglia. Oggi Marisa Melpignano si occupa soprattutto di questo, mentre Egnazia è affidata al figlio Aldo. Anno fatale il ‘96 perché mentre Romano Prodi trionfava col suo Ulivo, usciva nelle sale “Pizzicata” del barone-regista Edoardo Winspeare creando l’immagine del Salento messicano (la pizzica come el Día de los muertos). Uno di quei rari casi di pellicole che creano mondi, come la “Dolce Vita” per via Veneto, come “Chiamami col tuo nome” per Crema sorprendentemente poi perla di turismo. Ma qui chiese assolate e candide come quelle che si vedono nei film di Hitchcock. Con la Apulia Film Commission all’improvviso al cinema e in tv si videro solo allegre comitive sullo sfondo della luce di Lecce. Film “corali”, famiglie di pastai con figlioli inurbati al nord di Ferzan Ozpetek, e poi oggi ecco la nidiata delle commissarie o vicequestore, tutte donne, che trionfano e investigano tra Bari e Brindisi sconfinando a Matera, insieme ad occasionali guest star alla Helen Mirren. E poi naturalmente un a mano alla new Puglia l’ha dato pure Checco Zalone, un Lino Banfi (per dire di fama popolare) però che canta con De Gregori ed è pure amico di “Giorgia”. E al San Domenico ci girarono pure delle puntate di “Beautiful”.



Ma tornando al borgo, se polemica dev’essere, è curioso che in articoli e reportage si parli appunto di “Borgo Egnazia”, (“Il Papa è atterrato al campo sportivo di Borgo Egnazia”) confondendo il brand col luogo, perché il Borgo è appunto l’hotel deluxe, che si trova in località Savelletri di Fasano. Dunque negli articoli e reportage è come se si scrivesse: “il G7 al Four Seasons o al Bulgari Hotel”. Il sogno di ogni ufficio stampa. Mentre “Borgo Egnazia” è appunto la Milano 2 che prende il nome dalla antica Egnazia (o Egnathia e Gnazia e in greco. Antica città in Puglia (di cui oggi rimangono solo rovine), nei pressi di Fasano, centro della civiltà dei Messapi cantata da Plinio, Strabone e Orazio. Se il vero borgo, cioè le rovine, è attrazione turistica, il “Borgo Egnazia” offre una splendida palestra Technogym e il campo da golf che arriva fino al mare, quello su cui la premier Meloni è stata fotografata in Cinquecento scoperta con la onnipresente aiutante Patrizia Scurti, quello dove Biden sperso è stato prontamente richiamato da Meloni tipo zio un po’ rimba che non manca mai ai matrimoni, e l’atmosfera è un po’ quella, non matrimonio indiano bensì italiano, magari barese, buone famiglie alla “Mine vaganti”, con la 500 vintage e il servizio posato tra gli ulivi. Già, gli ulivi sono ovunque, anche uno enorme tagliato a far da tavolo per le foto dei sette Grandi, in questo G7 a trazione femminile.

E a voler fare le solite inutili dietrologie: vuoi vedere che tra tutti questi ulivi “Giorgia” dopo essersi presa tutto, il Governo e l’Europa ora si vuol annettere pure il Salento? Non le bastava Capalbio, maledetta! Il Salento dagli anni Novanta, infatti, è diventato buen retiro di società civile di Roma e Milano. E senza troppe specifiche tra Alto e Basso (Egnazia sta a Nord), cominciarono la colonizzazione i milanesi, primo ad arrivare fu Leonardo Forneron Mondadori che in fuga da Capri comprò una masseria a Ostuni arredata da Verde Visconti. Poi giunse Franco Tatò, mitico manager tagliatore di costi, a.d. Mondadori con background tedesco e liberal (da cui il soprannome Kaiser Franz). Sbarcò negli anni Novanta rilevando la masseria di Maly Falck Da Zara (madre di Giorgio e pioniera milanese delle Puglie) affidata a Renzo Mongiardino e appartenuta per poco a Dino Franzin che presto si stufò. Tatò tenne masseria e salotto radical proprio a Fasano. Poi arrivarono gli architetti, protagonisti oggi di quelle ristrutturazioni con la cucina inox e la scultura site-specific e la piscina aggettante.


Poi i politici: Massimo D’Alema ha la masseria Furnirussi in Salento; ma qualcosa cominciò a cambiare quando giunse Bruno Vespa che, come si sa a “Li Reni” a Manduria, produce Primitivo e convegni. L’estate scorsa si era aperta con mezzo governo per un “Forum in masseria” alla presenza di capocolli e dell’ancora prestigioso Giuseppe Conte. Pensiamo a come schiumerà oggi, lui, leader della antica tribù dei Messapi, sbaragliato alle europee dalla leader della tribù dei Lollo. E Giorgia, del resto, già l’estate scorsa asserragliata in un’altra masseria ancora, la “Beneficio” a Ceglie Messapica, compiva trasvolate in Albania, progettando appunto il G7 di oggi.

Intanto che la nuova estate è cominciata, la masseria continua però ad essere oggetto del desiderio delle genti riflessive che stravolte dalle elezioni pensano di fuggire da qualche parte. Per milanesi e romani per quale strano motivo il Salento è diventato luogo soprattutto di vacanze “de sinistra”, in qualche caso con transumanze proprio da Capalbio che nel frattempo è diventato un posto di ricchi e basta. Non ci sono studi specifici ma da osservazione empirica possiamo affermare senza tema di smentita che il vacanziero di sinistra non riesce mai semplicemente a godersi mare e spiaggia e qualche ristorantino comodo: camuffato da interesse culturale, chiese, arte e storia, egli o ella è attratto dalle scomodità: il suo masochismo viene fuori alla ricerca di luoghi defatiganti, impervi, difficili da raggiungere, per espiare chissà cosa. Dunque se “Giorgia” punta su Borgo Egnazia, la Puglia immaginaria, l’elettore di sinistra affamato di Realtà punta sul Salento vero: non solo la masseria, i più avventurosi scommettono sulla variante palazzetto di paese, che titilla soprattutto gli appetiti immobiliari di noi frustrati del prezzo al metroquadro milanese e romano: agenti immobiliari dall’aria scafata battono borghi e borghetti (veri) proponendo alle signore in chemisier e Birkenstock “perle”, “cielo terra”, “splendide cornici”, per diecimila euro totali, insufflando l’idea di diventare finalmente castellani che pure è insita segretamente nell’essere di sinistra. I più coraggiosi progettano di passarvi lunghi mesi (anche per ammortizzare l’immane viaggio), taluni venir quaggiù addirittura a vivere! Il leggendario e misterico south working. Il potente meccanismo della rimozione non accorda la facile disamina: se i prezzi sono così bassi ci sarà un motivo. Infatti come in Messico le distanze sono micidiali, già arrivarci col famigerato Freccia da Roma è un incubo, e poi una volta giunti a destinazione si scopre che d’inverno crepi di freddo e d’estate di caldo. Il palazzetto sprigiona umidità e i lastrici solari sono specchi ustori. Trattare con le maestranze è sfiancante, la bolletta ti costa più del palazzetto. E poi ti manca quel non so che della città. Il mare, ad arrivarci (non meno di un’ora di macchina) poi è impraticabile perché già alle 5 di mattina c’è un micidiale affollamento. Quelle poche ville veramente sul mare costano come a Malibu. Si fa dunque vita di casa, di campagna, quindi, tra zanzare e calura, costretti a una socialità forzata, frequentando persone che si evitano tutto l’inverno a Milano e a Roma (come a Capalbio insomma). Si canta molto. Ma allora, perché non stare a Roma o a Milano o magari Ladispoli e Milano Marittima? Tatò scrisse a un certo punto un pamphlet, “Perché la Puglia non è la California”. Ma più che un pamphlet, era una resa.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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