Che fine hanno fatto gli F-16

Lo scorso anno, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky arrivò a Hiroshima, in Giappone, per partecipare al G7 che in sua presenza sembrava essere tornato un G8, ma con l’Ucraina al posto della Russia, una sostituzione naturale, necessaria e di buon auspicio per un’economia devastata dalle bombe  di Mosca. Zelensky venne accolto, acclamato, e tornò in Ucraina con la promessa di portare nel suo paese quello che Kyiv chiedeva dall’inizio della guerra per proteggersi dagli attacchi russi: gli F-16. Era nata, durante il G7 giapponese, la coalizione dei jet, che comprendeva paesi disposti a dare i loro caccia all’Ucraina affinché potenziasse la sua difesa aerea o ad addestrare i suoi piloti.  I paesi leader di questa coalizione erano Stati Uniti, Belgio, Norvegia, Paesi Bassi e Danimarca: quando Zelensky andò  a Copenaghen in agosto, venne invitato dalla premier danese Mette Frederiksen a salire su un F-16, fu un’immagine importante. Gli aerei però non sono mai arrivati, perché il non annunciato della promessa era che l’addestramento sarebbe durato a lungo e le basi in cui i piloti vengono addestrati non hanno sufficiente spazio per preparare più di un certo numero di ucraini alla volta. Gli aerei ci sono, i paesi non hanno ritirato il loro sostegno, anzi alcuni hanno detto in modo esplicito che i loro F-16, una volta consegnati all’Ucraina, potranno essere utilizzati anche per eliminare bersagli nel territorio russo, dando a Kyiv, per esempio, la possibilità di abbattere un missile prima  che raggiunga i cieli ucraini. Il Belgio è l’unico paese a essersi opposto, ma Danimarca, Norvegia e Paesi Bassi hanno confermato la loro disponibilità in un momento in cui è chiaro a tutti quanto non poter colpire il territorio russo abbia messo in pericolo gli ucraini e aiutato le offensive di Mosca. 

Quest’anno, alla fine di maggio, soltanto il primo gruppo di piloti ha completato l’addestramento negli Stati Uniti, si sono esercitati presso la 162esima base della Guardia nazionale aerea a Tucson, in Arizona, dove erano arrivati nell’ottobre del 2023. L’addestramento è serio e nonostante in diverse occasioni  i soldati ucraini siano stati sottoposti a un ciclo di apprendimento  molto più rapido del previsto, questa volta gli Stati Uniti hanno escluso che fosse possibile: gli ucraini apprendono in fretta, ma questo, hanno riferito fonti estoni al Foglio, li ha spesso posti nelle condizioni di non sfruttare al massimo le armi, li espone al pericolo e  il tempo guadagnato può rivelarsi un danno. Per  gli F-16  però non ci sono basi sufficienti per l’addestramento, gli spazi sono limitati e gli ucraini sono stati inseriti in programmi internazionali, senza togliere la precedenza ad altri piloti perché sono posti riservati con largo anticipo ai paesi che già dispongono di una flotta di F-16.  Secondo un funzionario del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che ha parlato con il sito di notizie Politico, entro la fine dell’anno si diplomeranno venti piloti ucraini di F-16, la metà di quelli necessari per operare con uno squadrone completo di quaranta jet. Altri piloti, circa otto, inizieranno l’addestramento in Romania, altri otto saranno accolti a Tucson, mentre la Danimarca non accetta più piloti perché l’aeronautica si sta preparando all’arrivo degli F-35.

Secondo fonti ucraine, gli aerei sono attesi entro quest’anno, anche se potrebbero essere conservati in basi sicure fuori dall’Ucraina, lontani dagli attacchi dei russi. Gli Stati Uniti hanno ribadito più volte  il loro scetticismo riguardo alla possibilità che gli F-16 possano fare “una differenza drammatica”, sono scettici sul fatto che nella zona di Kharkiv gli aerei potranno avvicinarsi al territorio russo: sono facili da individuare per la difesa aerea di Mosca e quindi semplici da abbattere. E’ una questione di numero, più aerei ci  saranno a disposizione più sarà possibile rendere efficace il loro lavoro, ma per pilotare uno squadrone intero sono necessari molti piloti e potrebbe volerci ancora del tempo.

 E’ il tempo che l’Ucraina non ha, è trascorso un anno dalla promessa degli F-16, il processo è lento, deve essere meticoloso per poter risultare vincente contro la Russia. Lo scorso anno, un mese  dopo il G7 di Hiroshima, Zelensky andò al summit della Nato a Vilnius, in Lituania. Arrivò furioso, nonostante l’accoglienza lituana, si aspettava un impegno definitivo riguardo a un futuro ingresso di Kyiv nell’Alleanza atlantica, ma non era questo il tema in discussione. Si placò, capendo che gli alleati non lo stavano abbandonando, preparavano un pacchetto cospicuo  di aiuti e l’avvio del Consiglio Nato-Ucraina, il secondo meccanismo di consultazione bilaterale nella storia dell’Alleanza atlantica: il primo fu con la Russia, si estinse nel 2014. 
 

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