Perché rallentare l’integrazione europea può spaventare ancora i mercati. Parla Franco Bruni

Esiste un problema nel rapporto tra i mercati finanziari e l’ascesa della destra in Europa? Nei primi due giorni dopo il voto il malumore degli investitori è stato palpabile. Soprattutto ha sorpreso che martedì la Borsa di Milano sia andata peggio di quella di Parigi dopo che lunedì tutti gli analisti avevano indicato il rischio sovrano francese come la vera causa dello choc post elettorale. Ieri, invece, sui mercati è tornato l'ottimismo, ma il merito sembra essere stato più dei dati sull’inflazione Usa inferiori alle aspettative, nel giorno in cui la Fed doveva decidere sul taglio dei tassi, che perché è svanita l’incertezza percepita dal risultato del voto di domenica. Dunque, che cosa c’è da aspettarsi?

“I mercati non hanno problema con la destra conservatrice e rigorosa nei conti pubblici, ce l’hanno con quella populista che, se prendesse il sopravvento, potrebbe generare un disastro assoluto nel lungo periodo. Per l’Italia è importante come si posizionerà tra queste due fazioni il governo di Giorgia Meloni”, dice al Foglio Franco Bruni, presidente dell’Ispi e professore emerito del dipartimento di Economia dell’Università Bocconi. Le perplessità espresse dagli osservatori finanziari – è il caso, per esempio, di due grandi banche d’affari americane come Citi e Goldman Sachs, ma il sentiment è piuttosto diffuso – si possono sintetizzare così: i partiti di destra sono generalmente più scettici nel trasferire poteri a livello centrale, il che rende improbabile che le recenti iniziative fiscali europee (ad esempio, Next generation Eu) si traducano in strumenti più permanenti che sono fondamentali per stabilizzare il debito pubblico e incentivare le politiche industriali. Inoltre, alcune proposte politiche dell’estrema destra, ad esempio quelle riguardanti le restrizioni sulle immigrazioni, sarebbero probabilmente considerate in contrasto con il diritto europeo e potrebbero creare attriti nel dialogo con Bruxelles. “Concordo sul fatto che esista il rischio di un calo di solidarietà e anche di un aumento del protezionismo commerciale, cosa che ritengo dannosa per il nostro paese – spiega Bruni – Inoltre, se la componente più estrema della destra comincia a prendersela con la Bce e il patto di stabilità rischiamo anche di vedere politiche monetarie e fiscali indisciplinate con un ritorno dell’inflazione e un indebolimento dei paesi più indebitati. I mercati, però, fanno per lavoro previsioni di breve periodo, mentre è cruciale comprendere come si ricomporranno gli equilibri politici per eleggere i nuovi presidenti della Commissione europea e del Consiglio. Se si formasse un centro destra più conservatore, meno populista e prudente dal punto di vista fiscale, oltre che compatto nel posizionamento geopolitico, parlo soprattutto del sostegno all’Ucraina e della capacità di gestire il rapporto con Donald Trump se dovesse vincere le elezioni, ci sarebbero anche meno ragioni di allarme per i mercati”.

Cosa pensa, invece, della posizione dei paesi più indebitati, come Francia e Italia? La scossa sui mercati nelle prime due giornate dopo il voto ha fornito a tutti l’idea di ciò che potrebbe accadere nel periodo precedente le elezioni francesi, con l’incertezza che potrebbe durare fino al secondo turno di votazioni il 7 luglio. “I paesi con un rapporto tra deficit e pil più elevato sono solitamente quelli più esposti agli umori degli investitori, per questo dico che la destra deve far venire fuori la sua componente più rigorosa. Proprio per placare questi timori, fondati o meno che siano. Del resto, il governo Meloni ha dimostrato fino ad oggi una certa prudenza nella gestione dei conti pubblici e spero non cambierà rotta proprio adesso, facendosi contagiare dall’ascesa del lepenismo in Francia. E anche lì, se andasse al potere la destra, non è scontato che si comporterà in modo poco responsabile con le finanze pubbliche. E’ possibile un’evoluzione diversa delle cose. Il rischio piuttosto è un altro”. Quale? “E’ vero che le grandi sfide, come quelle che l’Unione europea deve oggi affrontare, le grandi transizioni, energetica, climatica, digitale e l’ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza, richiedono un approccio di tipo progressista che generalmente non piace alla destra, ma è anche questione di qualità della classe politica e questa è un’altra storia”. E’ vero che il green deal entrerà in crisi? “Per la verità, era già in crisi prima delle elezioni – chiosa Bruni – ed è un bene secondo me che si apra una riflessione. A patto, però, che sia costruttiva”.

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