Le petroliere russe ora battono bandiera Gabon per aggirare il price cap

Tra le misure sanzionatorie imposte alla Russia dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina il price cap sul petrolio è probabilmente la più complicata. Il meccanismo, introdotto a dicembre 2022 dal G7 insieme all’Unione europea e all’Australia impone un massimale di prezzo di 60 dollari al barile per il commercio di greggio russo trasportato via mare.
 

Al di sopra di questa cifra le società e le petroliere che trattano il greggio degli Urali non possono usare i servizi finanziari dei paesi occidentali (dominanti nel settore), mentre chi si adegua al price cap può continuare a commerciarlo normalmente. Questa misura così sofisticata ha un duplice scopo: ridurre le entrate petrolifere di Mosca ma al contempo impedire che le sanzioni creino un vuoto di offerta nel mercato globale del petrolio, e di conseguenza uno choc sui prezzi.
 

Per aggirare il price cap la Russia ha messo insieme una “flotta ombra” di vecchie petroliere registrandole sotto la bandiera di paesi come Liberia o Panama, che attraverso società fittizie e assicurazioni “alternative” poco affidabili hanno continuato a vendere greggio russo. Questa strategia è restata sostanzialmente impunita per la maggior parte del 2023, ma a un certo punto la Casa Bianca ha affinato le strategie per far rispettare il price cap costringendo la Russia a rivedere la logistica e cambiare il paese di bandiera, poiché la società che mantiene il libro navale liberiano è registrata negli Stati Uniti e pertanto è vulnerabile all’inasprirsi delle sanzioni statunitensi.
 

Tra questi sta emergendo il Gabon, paese dell’Africa equatoriale occidentale, che ormai è diventato la nazionalità di oltre 100 petroliere. Lloyd’s List Intelligence stima che almeno 70 di queste navi fanno parte di una flotta ombra di petroliere dedicate a traffici di greggio sanzionato. Secondo le stime del broker navale Clarksons, dall’inizio della guerra in Ucraina il numero di navi registrate in Gabon è aumentato di sei volte, facendo diventare il paese la seconda nazione dell’Africa di questa particolare classifica.
 

In base a quanto riportato dal Wall Street Journal, da ottobre dell’anno scorso Washington ha introdotto misure contro 40 petroliere che violavano il price cap, e da febbraio di quest’anno ha sanzionato direttamente anche Sovcomflot, la più grande compagnia di navigazione russa e uno dei leader mondiali nel trasporto marittimo di idrocarburi. Tra le navi registrate in Gabon ci sono almeno 50 petroliere ex Sovcomflot che in precedenza battevano bandiera liberiana, altre navi ex russe battono ora le bandiere africane del Camerun e delle Comore.
 

Oltre a non avere una reale copertura assicurativa per gli incidenti in mare queste petroliere sono troppo vecchie e la loro manutenzione è inadeguata, poiché vengono costantemente impegnate in viaggi troppo lunghi e sono spesso coinvolte in attività pericolose, come i trasferimenti di petrolio da nave a nave (ship-to-ship) in acque internazionali per occultare il greggio sanzionato.
 

Molti di questi trasferimenti finora si verificavano nelle acque al largo della Grecia, ma dopo le pressioni della Marina greca le petroliere russe si sono spostate nel Mediterraneo occidentale, vicino Melilla. In caso di sversamento in mare le assicurazioni non coprirebbero i costi dei danni ambientali.
 

Le flotte ombra della Russia e di altri paesi iper-sanzionati come l’Iran e la Corea del nord sono un pericolo per il traffico marittimo internazionale, per l’ambiente e per gli equipaggi, che vengono assunti in condizioni di illegalità e costretti a lavorare senza tutele. Secondo il Wsj dal 2022 almeno 17 membri dell’equipaggio di queste navi sono morti in tre diversi incidenti che hanno coinvolto imbarcazioni battenti bandiera delle Comore, tra cui una nave portacontainer russa che si è spezzata in due.
 

L’anno scorso la petroliera Pablo, battente bandiera del Gabon, ha preso fuoco al largo della costa della Malesia, tre membri dell’equipaggio sono morti. La petroliera aveva 26 anni e per fortuna era vuota, ma le autorità malesi stanno ancora cercando di capire chi fosse il proprietario.

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