“Il liberalismo può sconfiggere il populismo solo se guarda al passato”. Parla lo storico Alan Kahan

Attraverso le nozioni del suo libro, l’accademico spiega qual è il significato della dottrina filosofica e come questa può essere d’aiuto per le sfide del nostro tempo: “Il liberalismo è la ricerca di una società in cui nessuno debba avere paura perché è orientato alla speranza”

Il liberalismo può assumere diversi connotati, a seconda dei contesti e delle epoche storiche. Alan Kahan ne ha scritto una storia, senza la pretesa che sia un’opera conclusiva sul tema (vastissimo): Freedom from Fear: An Incomplete History of Liberalism (Princeton University Press). Storico del pensiero politico e teorico politico all’Università Paris-Saclay, Kahan è uno specialista di liberalismo francese e inglese. Nel libro cerca di ripercorrere le evoluzioni di tale dottrina politica, cruciale nella storia della cultura occidentale, partendo da alcuni imprescindibili punti fermi: la prima paura dei liberali è il dispotismo, il potere arbitrario; il liberalismo non ha come valore primo l’eguaglianza, ma la libertà, e non si può ridurre al “dirittismo” oggi in voga.

“Il liberalismo – dice Kahan al Foglio – è la ricerca di una società in cui nessuno debba avere paura. Questo è il significato della libertà per i liberali. Storicamente, quattro paure sono state al centro delle preoccupazioni liberali. In primo luogo, dopo le Guerre di religione, la paura del fanatismo religioso alleato con il dispotismo reale. Poi, dopo la Rivoluzione americana e francese, la paura della Rivoluzione e della Reazione. Terzo, dopo il 1870 circa, la paura della povertà: prima di allora i liberali temevano i poveri, che spesso erano fanatici religiosi, rivoluzionari o reazionari; in seguito hanno visto la povertà come qualcosa che faceva paura. Quarto, dopo la Prima guerra mondiale, la paura del totalitarismo. Oggi una quinta paura, il populismo, è al primo posto tra le paure dei liberali. Il liberalismo, aggiungo, non ha riguardato solo le paure di cui sono oggetto gli individui. Fin dall’inizio della storia del liberalismo, i liberali hanno lottato anche per proteggere i gruppi, prima le minoranze religiose, poi le classi perseguitate, le etnie, e ora le donne e le persone con diversi orientamenti sessuali. Nel corso del tempo i tipi di persone di cui si è tenuto conto si sono via via ampliati, e dunque la lotta contro l’illiberalismo si configura come una battaglia in continua espansione. Il liberalismo, però, non riguarda solo la paura, bensì la speranza. Il liberalismo è un movimento utopico: nessuna società ha mai protetto pienamente i suoi membri dalla paura. La maggior parte della popolazione mondiale ha sempre vissuto sotto dittature. Il processo di liberalizzazione è aperto, ma la speranza liberale di un mondo senza paura è costante. Il liberalismo non può solo trattare della paura. Senza speranza, il liberalismo sarebbe inutile. Infine, per costruire barriere contro la paura e sostenere le proprie argomentazioni, i liberali hanno tradizionalmente fatto leva su tre pilastri: la libertà, il mercato e i principi morali, ovvero la politica, l’economia, e l’etica (o la religione). Purtroppo, dopo la Seconda guerra mondiale i liberali hanno abbandonato sempre più l’uso del linguaggio morale e spirituale. Uno degli scopi del mio libro è quello di ricordare che il liberalismo ha sempre avuto una forte dimensione etica, che in qualche misura dobbiamo riscoprire oggi”.

Nel volume tratta molti pensatori, alcuni anche eccentrici rispetto al liberalismo, per esempio Jane Addams. Quali sono i più significativi per la tradizione liberale e perché? “Che domanda difficile! Per me, la figura più importante è Alexis de Tocqueville. Ha capito meglio di chiunque altro il problema della libertà nelle società democratiche, il tipo di società in cui viviamo oggi, dove non accettiamo differenze ereditate di status. Mostrò quali opportunità la democrazia offriva ai liberali e quali particolari pericoli presentava. Non era un economista, ma sapeva che il socialismo rappresentava una ‘via della schiavitù’, espressione che Friedrich von Hayek prese poi in prestito. Scelgo John Stuart Mill come seconda figura. È stato un grande economista e uno dei più importanti pensatori femministi che ci siano mai stati, ma ciò che lo rende fondamentale è stato lo sviluppo di un ideale di autonomia individuale e la sua relazione con il miglioramento personale e sociale. Infine, Isaiah Berlin, non tanto per la sua famosa anche se sfumata distinzione tra libertà negativa e positiva, quanto per la sua discussione sul pluralismo, sul fatto che non esisterà mai più una società in cui saremo tutti d’accordo su ciò che è più importante e su come dobbiamo affrontare questo fatto”.

Il libro si chiude con un capitolo su liberalismo e populismo, indagandone il rapporto e cercando una possibile soluzione. A quali conclusioni è arrivato? “Il populismo – risponde Kahan – è fondamentalmente illiberale. I populisti non considerano tutto il popolo come ‘Il Popolo’ e vogliono che gli altri abbiano paura. Il populismo è il prodotto dell’alienazione culturale di una varietà di gruppi, siano essi fondamentalisti religiosi, nazionalisti radicali o semplicemente persone non in sintonia con un mondo globalizzato. Il risultato è la formazione di un consenso illiberale variegato che vede il liberalismo come l’ideologia di un’élite cosmopolita, antireligiosa e corrotta. Una delle ragioni di attrazione del populismo è l’abbandono da parte dei liberali, alla fine del XX secolo, di qualsiasi tipo di pilastro morale, a favore della ‘neutralità’. La natura umana detesta il vuoto morale. I liberali non sono amorali, ma si sono rifiutati di parlare di moralità in modi comprensibili alla gente. Creare un nuovo liberalismo in grado di sconfiggere il populismo sarà un processo complicato, ma deve comportare un ritorno al tipo di appello morale tipico del liberalismo del XIX secolo”.

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