“Hit Man” è il film di cui le sale hanno bisogno

Nodo al fazzoletto. Promemoria sul cellulare. Crocette sul calendario in cucina. Fate come volete, ma annotate la data del 27 giugno, giovedì. Quando uscirà nelle sale “Hit Man” di Richard Linklater. Se ci andate subito, è salvo anche il fine settimana. Il 27 giugno, dopo qualche tira e molla – la “bibbia” Imdb riporta ancora la data del 30 maggio – vedremo sugli schermi italiani quel che gli abbonati a Netflix di Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna, India, Corea del sud e Messico stanno godendo dal 7 giugno.

Solo tre settimane, ma potrebbero affossare il successo italiano di un film strepitoso, divertente, multi-genere, con l’adorabile attore Glen Powell. Sei minuti di applausi alla Mostra di Venezia (dove era fuori concorso). Lo scrive Vulture, noi abbiamo soltanto registrato l’entusiasmo di chiunque fosse al Lido. Su Metacritic, il New York Times e il Wall Street Journal gli danno cento punti su cento. Total Film promette “a damn good time at the movies”. E sappiamo tutti quanto il cinema, anche inteso come “sala cinematografica”, abbia bisogno di film come questo. Peraltro rarissimi.

Come mai è finito su Netflix? si chiede Vulture. A ridosso, noi ci chiediamo: e come mai in Italia non lo vediamo su Netflix, ma nei cinema con venti giorni di ritardo, nell’ultima o quasi settimana utile prima della “chiusura estiva”? Le scelte di Netflix sono sempre misteriose – nel senso che preferiscono stare muti, buttando fuori ogni tanto qualche numero. La distribuzione italiana Bim, se si chiedono spiegazioni, rimanda a “l’internazionale”: mitica creatura che dispone anche per i cinema italiani.

In questo momento di carestia, un film comico-tenero-criminale-geniale come “Hit Man” di Richard Linklater è prezioso. Tenerlo in magazzino per una decina di mesi è uno spreco anche per Netflix, che l’ha pagato la bella cifra di 20 milioni – VENTI MILIONI di dollari – a fronte di un budget produttivo che non raggiungeva i 9. Al Festival di Toronto, segnando un record. Con la promessa di mandarlo nelle sale che Netflix mette nel contratto.

Le fortunate sono state poche e tutte negli Stati Uniti, lo scorso 24 maggio. Probabilmente con il modello “four wall”: affittare qualche cinema, tenersi gli incassi, consentire al regista – o all’attore, lo strepitoso Glen Powell – di partecipare agli Oscar. Mentre lo spettatore non ne sa quasi nulla.

Vulture ha interrogato John Sloss, ceo di Cinetic Media, che ha finanziato i film di Richard Linklater fin da “Slacker”, nel 1990: “Viene fuori una forte resistenza, quasi un malessere, quando si parla di distribuzione nei cinema”. Anche per un film commerciale, addirittura un date-movie come questo (mica puoi portare la morosa a vedere “Il pianeta delle scimmie”, anche se forse l’invito al cinema è da ultra-boomer). I distributori vanno cauti con le offerte, e dall’altra parte c’era l’offerta di Netflix: una cifra di portata storica per Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna.

Storica anche perché il film è definito nel titolo di Vulture “Anti-Algorithm”. Romantico e gangsteristico, ironico e tenero: sembra difficile che Netflix avesse la categoria da riempire (e sembra ancora più difficile che le sale cinematografiche si siano lasciate scappare un film da “quattro quadranti”): capace di interessare maschi e femmine, vecchi e – magari un po’ meno – giovani.

Generazioni cresciute con il culto dell’autenticità, e incapaci di ironia – è diventata l’ottavo peccato capitale – faticheranno probabilmente ad apprezzare. Ma è un problema loro: stanno cercando di cacciare dalla vita e dal cinema tutto il divertimento, invecchieranno maledicendosi a colpi di tweet.

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