Gli stili del G7. Capire cosa ci vogliono dire i leader con il loro look

Che cattiveria, che ridere. Sapevamo fin dal principio che aver organizzato un G7 in un resort a cinque stelle bordo mare a giugno equivalesse a stendere una trappola agli sprovveduti del doppiopetto incrostato di salsedine e ai nostalgici di Aldo Moro seduto sulla sdraio in giacca e cravatta. Era ovvio che l’occasione politica formale per eccellenza in un luogo dove anche Jeff Sutton gira in infradito imponesse un esame di livello proficiency alla conoscenza delle regole non tanto dell’eleganza, quanto dell’appropriatezza o per dire ancora meglio delle “occasioni d’uso”, che è un livello superiore rispetto alle nozioni di base della lunghezza dell’orlo e della montatura del giromanica, e che dunque richiede una perfetta combinazione di uso di mondo, cultura, gusto del rischio, finendo inevitabilmente per trasformarsi nella cartina di tornasole della nascita e dell’educazione ricevuta. Veder cadere quasi tutti i partecipanti è stato un risultato francamente inatteso.

Che ci voleva a chiamare uno stylist, a chiedere a un esperto se la cravatta rossa sulla camicia bianca potesse funzionare o no con trenta gradi all’ombra (no), se le brogue nere fossero adeguate alla photo opportunity sulle pietre bianche e accanto ai tavoli di legno d’ulivo (per carità), se fosse meglio il grigio scuro o il blu (il secondo). A Pitti Uomo, ancora in corso, ci si sta divertendo parecchio sulle foto in arrivo dalla piazza del brunch domenicale del villaggio costruito dai Melpignano la cui matriarca, la formidabile signora Marisa, ha avvertito i dipendenti: il primo che fiata sugli ospiti è fuori. Sotto le frasche intrecciate di viti e boungavillea, il quesito del fresco lana può rivelarsi esiziale anche se sei cresciuto riccamente come il premier inglese Rishi Sunak e puoi permetterti di inanellare una gaffe classista dietro l’altra senza che sia ancora spuntato un Guy Fawkes a dar fuoco alle polveri. Nel resort pugliese non proprio di cartapesta, come ha osservato brutalmente qualcuno paragonando Borgo Egnazia ai Villaggi Potemkin, ma certamente costruito pietra su pietra pochi anni fa per ricalcare la tradizione vagheggiata dal turismo internazionale, una Disneyland della masseria diciamo, il completo fumo di Londra “I’m just off Downing street guys” del premier britannico è una caduta di stile che l’Alberto Sordi antiquario non avrebbe tollerato, così come quella del cancelliere Olaf Scholz, un altro membro del club del risvolto a ricasco sulla tomaia. Di Emmanuel Macron si può solo dire che sia distratto da altri problemi e dunque abbia portato con sé il primo completo grigio che gli sia capitato sottomano.

La presidente della Commissione Europea pronta al bis, Ursula von der Leyen, conferma invece la propria immagine di inoffensiva apparente con la solita calza bianca e il consueto modello chanel beige ai piedi, c minuscola d’obbligo, mentre è evidente che qualcuno abbia finalmente insegnato alla premier Giorgia Meloni il cosiddetto segreto di Raffaella Carrà, utile per slanciare le gambe e riproporzionare la figura: scarpe e calzoni della stessa tonalità, orlo fino a terra, giacca tagliata appena sotto le anche.

Duole dirlo, ma noi europei che ce la raccontiamo tantissimo sul nostro stile inimitabile, a questo G7 delle olive e le cime di rapa perdiamo contro i due leader sbarcati dalle Americhe, Joe Biden e, soprattutto, Justin Trudeau. Impeccabile, attraente, e non solo per il fisico gratissimo: ben tagliato il completo in cotone di bella armatura (il lino si gualcisce, purtroppo in queste occasioni si trasforma in un nemico) scelto poi in un punto di blu oltremare non troppo sfacciato che approverebbe perfino sir Paul Smith, il sarto dei colori che l’altro giorno, a Firenze, disquisiva appunto di sfumature. Corrette anche le scarpe marroni, di solito inadeguate per le occasioni formali: ma, appunto, siamo al G7 e anche al mare. Non vogliamo fare paragoni improvvidi ma anche questa, come sfida, non è proprio uno scherzo.

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