La fine definitiva e incresciosa del gollismo e della sua pregiudiziale repubblicana

La vittoria di Marine Le Pen alle europee, con l’insieme della destra al 40 per cento, e la dissoluzione dell’Assemblea nazionale decisa da Emmanuel Macron sembravano notizie importanti ma non definitive nelle ventiquattr’ore susseguenti. Ma importanti davvero per la Francia sola, si diceva, perché per il resto l’affermazione dei popolari, la resistenza complessiva dei socialisti e la stabilità centrista e conservatrice del partito di Giorgia Meloni ripropongono l’assetto di governo e di maggioranza precedente alle elezioni. Ieri a scoppio ritardato, ma con sorpresa e raccapriccio diffusi, in Francia e non solo, è esplosa una nuova bomba politica: la decisione del presidente dei gollisti (Lr, Les Républicains), al 7 per cento nelle europee, di unirsi al Rassemblement national di Marine Le Pen.

 

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Gli ideali di autonomia dei soli soletti rivendicati con coerenza triste dalle ultime briciole della tradizione gollista impallidiscono davanti alla sfrontatezza del salto della quaglia, alla voglia di essere rieletti e alla montante idea di un’unione delle destre oltre le vecchie discriminanti, ora che De Gaulle è dimenticato, anzi morto e sepolto una seconda volta, e il giovane Jordan Bardella, per conto di Marine, si pone come un combattente perfino sul fronte della lotta all’antisemitismo abbandonata e rovesciata nel suo opposto dai mélenchonisti, alleati nel nuovo fronte popolare con l’imbarazzato e strattonato Raphaël Glucksmann. Ben scavato, vecchio talpone.
 

La questione di peso però è proprio quella. Un piccolo scarto politicista liquida, dopo la scomparsa della Shoah come punto di riferimento ideologico e storico di generazioni di europei e americani, e forse anche universale, anche il ricordo dell’assetto democratico uscito dalla Seconda guerra mondiale. L’Italia è nata con l’8 settembre, premessa storica della gloria del 25 aprile, ed è stato un paese sconfitto riscattato da una Costituzione ciellenista che di quella sconfitta fu il prodotto e che dal 1947 fu gestita dal partito cattolico interclassista e poi da diversi regimi di tipo trasformista, privi di una vera tradizione repubblicana, all’ombra o alla luce della Guerra fredda. La Francia no, l’appello del 18 giugno del generale Charles de Gaulle, la mobilitazione antivichista e antinazista, fecero di quel paese un vincitore della guerra e diedero origine a una Costituzione repubblicana e a istituzioni che montarono per decenni la guardia a un’ideologia incompatibile con il populismo dell’estrema destra. Nel clima generale di caos e di caduta degli dèi che percorre l’occidente, la fine senza più fondo, definitiva e incresciosa, del gollismo e della sua pregiudiziale repubblicana, è un’altra pietra miliare che misura la distanza dalla memoria della guerra e della vittoria delle democrazie.
 

François Mitterrand, fiorentino d’istinto e di cultura, aveva giocato anche lui, con la legge elettorale proporzionale, alla triangolazione con il Front national del padre di Marine, uno che considerava la Shoah un “dettaglio della storia”, i gollisti mai. Quando Jean Marie Le Pen arrivò al ballottaggio nelle presidenziali fu Jacques Chirac a impugnare il bastone e a orchestrare il matraquage, la punizione violenta, della destra di allora. Molto è cambiato, anche il Front national, bisogna dire, fino a un certo punto. Macron voleva far esplodere il vecchio mondo, e in due rate ci è riuscito, prima vincendo contro socialisti e gollisti e ora sciogliendo il Parlamento dopo la vittoria europea di Marine, ma non si sa se l’esito di questo sfascio non gli si spiaccichi in faccia. Un presidente liberale per i francesi è una contraddizione in termini, purtroppo per loro e per l’Europa, potrebbero uscire dalla drammatica esperienza con un ritorno all’ordine, nazionalista e antieuropeo. Facciamoci molti auguri.

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