Il mercato dell’onda buona

A Rotterdam l’hanno costruita in centro città, tra i canali, i palazzi e le strade. Surf urbano, la chiamano. Ci sono voluti dieci anni per riqualificare l’intera area e portare a termine questo progetto visionario, ma alla fine Rif010 – così si chiama – è un gioiello di innovazione e un piccolo angolo di paradiso per chi il surf lo vuole praticare senza essere costretto a un volo per le Hawaii. Quello olandese non è un caso isolato. In Europa e nel mondo i siti di onde artificiali superano il centinaio, alcuni sono già attivi da anni e sono diventati un esempio di buona imprenditoria, mentre altri trecento (almeno) sono progetti in via di sviluppo. È il mercato dell’onda artificiale che non intreccia solo business e surf facendo girare milioni e milioni di euro, ma ha a che fare col green, con il restyling del territorio e degli spazi urbani dismessi, e naturalmente con l’idea di sport in senso contemporaneo, più sostenibile e accessibile a tutti.

Dopo averlo visto a Tokyo, il surf avrà un ruolo decisivo a Parigi 2024. Qualche anno fa (era il 2016) il presidente del Cio, Thomas Bach, decise di aprire a sport nuovi, freschi, diversi, "offrendo l'opportunità di entrare in contatto con le nuove generazioni". Skate, arrampicata, ma soprattutto surf. La location di questi Giochi sarà suggestiva: Tahiti, nella Polinesia francese, a oltre 15mila chilometri dalla Ville Lumière. Una parte della popolazione si è detta favorevole all’evento, ma l’Associated Press ha raccontato anche il disagio degli abitanti di Teahupo’o e il furore degli ambientalisti. "La decisione di ospitare qui parte dei Giochi ha lanciato sfide senza precedenti a una piccola comunità che da tempo ama e si impegna a proteggere uno stile di vita più strettamente legato alle terre selvagge e all’oceano cristallino rispetto alla fama promessa da un palcoscenico olimpico". Per tirare su la torretta in alluminio che servirà ai giudici per valutare la competizione è stata trapanata la barriera corallina. Uno scempio. "Nella cultura polinesiana, gli dei sono presenti ovunque, nel corallo, nell'oceano. L’oceano è considerato il tempio più sacro", hanno raccontato gli abitanti dell’isola.

L’oceano a casa tua, però, adesso è possibile. Dall’inizio del Novecento, cioè da quando alle Hawaii s’inventarono la prima vasca artificiale (un rettangolo 10×30 che funzionava con un meccanismo pneumatico) ne è stata fatta di strada. Dalle onde statiche (nate per i surfisti) l’evoluzione tecnologica ha portato al dinamismo, vere e proprie pareti d’acqua a forma di onda create con sistemi matematici e ingegneristici complessi, all’avanguardia. Dentro c’è tutto: fisica, aerodinamica, sperimentazione. A Monaco, l’onda artificiale sull'Eisbach è un cult dagli anni Settanta, ma a breve (luglio) verrà inaugurata a Hallbergmoos, quaranta minuti da Monaco, una wave pool pazzesca: la tecnologia di Endless Surf promette una piscina con onde artificiali "reali", una cosa mai vista. Le società che lavorano al miglioramento dell’onda sono tantissime. Le principali si chiamano Wavegarden (leader di mercato), Perfect Swell by American Wave Machine (che ha lavorato in Brasile), Endless Surf appunto. Ma ce ne sono almeno altre quindici sparse per il mondo, ognuna con le sue peculiarità.

Il mondo dei surfisti, del resto, è in grande espansione. Tant’è che i Giochi del 2028, a Los Angeles, ne segneranno la consacrazione con la terza partecipazione di fila. Il surf diventa un classico. Ma tra competizione e passione il legame è forte e gli appassionati, magari pure imprenditori del settore, hanno capito che lì c’è tanto margine di crescita. Dario Nuzzi, consulente di action sport per le aziende, project manager surf, spiega che negli ultimi anni "i dati sono triplicati". Dai primi del Duemila a oggi il numero dei surfisti assidui, in Italia, è passato da 50.000 a 150.000. Un boom. Il bacino d’utenza è pure più ampio. "Almeno un milione di persone fa surf una volta l’anno. Non sono surfisti, ma è gente che prova". E se provi magari t’innamori. Anche il numero di tavole vendute è in costante aumento: nel 2023 si parla di 15.000 unità. Difficile ricavarne un motivo singolo, univoco. Certo, dice Nuzzi, "dopo il Covid è aumentata la voglia di libertà, di uscire fuori, di stare a contatto con l’elemento naturale. Acqua compresa. L’acqua crea un’unione molto forte, è un elemento che riesce a coinvolgerti di più".

Un progetto wave pool però costa, e non poco: tra i 10 e i 40 milioni di euro i più belli. E a questo si aggiunge la difficoltà di individuare spazi grandi, utili, adatti. Però, come dice ancora Nuzzi, "non basta il business: c’è bisogno di una forte carica di conoscenza di questo sport, di storie e di cultura". Il surf è una filosofia, chi lo pratica ci entra dentro, ne sente il flusso. Per praticarlo ci vuole l’onda, non puoi improvvisare. Non tutti possono permettersi viaggi sull’oceano. Dunque le wave pool possono aiutare. In Italia sono stati moltissimi i progetti partiti e mai davvero decollati: a Livorno e Cagliari dovevano trasformare gli ex ippodromi in piscine da surf, ma di onde artificiali si è discusso anche a Grosseto, Genova, Roma, Padova. Pure in Versilia. Milano è l’unica città ad avere un’onda artificiale, all’Idroscalo. Infatti, assicura Nuzzi, "è la città con più surfisti d’Italia". Quattro realtà imprenditoriali, e moltissime aziende di consulenza (tra cui Surfvillage che si occupa di progetti per la start up dell’onda e tutto ciò che serve per dare anima a un impianto surf) sognano di portare anche da noi, un giorno o l’altro, un vero wave pool. Uscire di casa, andare a surfare prima di andare in ufficio: mancherebbe il sole dei Caraibi, ma non sarebbe male.

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