I dazi dell’Ue sulle auto elettriche cinesi impattano pure sul Green deal

La Commissione europea potrebbe avere preso una decisione storica, preannunciando dazi anti sussidi fino al 38,1 per cento sui veicoli elettrici importati dalla Cina. L’esecutivo di Ursula von der Leyen non solo rischia di innescare una guerra commerciale con Pechino, ma potrebbe porre le premesse di un approccio completamente diverso al Green deal, rimettendo in discussione  alcune sue scadenze, tra cui il divieto di immatricolare automobili con motore termico nel 2035. “Non è sostenibile avere una transizione climatica senza base industriale per il green tech nell’Unione europea”, spiega al Foglio un funzionario della Commissione. Oltre all’inchiesta sui sussidi di cui beneficiano i produttori di veicoli elettrici in Cina, questa è l’altra motivazione alla base della decisione sui dazi. Nel momento in cui la Cina è in sovraproduzione e inonda il mercato europeo con green tech a basso costo, i dazi anti sussidi servono a “proteggere l’industria dell’Unione da una pressione intensa e scorretta sui prezzi”. Nel caso dei veicoli elettrici si tratta di proteggere industrie e posti di lavoro (2,5 milioni diretti e 10,3 milioni indiretti, secondo le stime della Commissione), ma anche di tutelare gli investimenti, perché la concorrenza della Cina costringe i costruttori di auto europei a vendere veicoli elettrici in perdita. I dazi non solo renderanno le auto elettriche cinesi più care per i consumatori, ma ridurranno la pressione sui costruttori europei per tagliare i prezzi. In queste condizioni, salvo creare un’altra frattura sociale, appare difficile per von der Leyen confermare la data del 2035 per la fine alla vendita di auto con motore termico. La sua Cdu e il Partito popolare europeo hanno già chiesto di rimettere in discussione la data, come condizione per una conferma come presidente della Commissione.

Ufficialmente la decisione sui dazi è il risultato dell’inchiesta approfondita lanciata lo scorso ottobre. La Commissione ha scoperto che la Cina fornisce sussidi su tutta la catena del valore dei veicoli elettrici a batteria: dalla miniera per estrarre il litio fino ai porti nell’Ue. Gli aiuti vengono forniti e a ogni livello: autorità nazionali, provinciali, locali, banche e altre istituzioni finanziarie, fornitori di litio e produttori di batterie. Non ci sono solo le tradizionali sovvenzioni dirette o gli sconti fiscali. Pechino ha messo in piedi un sistema di finanza creativa che comprende Green bond e cartolarizzazioni. La Banca centrale cinese offre tassi di rifinanziamento preferenziali alle banche che sostengono i produttori. Le autorità forniscono terreni sotto il prezzo di mercato per gli impianti di produzione. Il tasso dei dazi imposto ai singoli produttori testati nell’inchiesta equivale al livello di sussidi di cui beneficiano e a quanto hanno cooperato con Bruxelles: 17,4 per cento per Byd, 20,0 per cento per Geeley, 38,1 per cento per Saic. Ad altri 21 produttori sarà imposto un dazio del 21 per cento. A quelli che non hanno collaborato con la Commissione sarà inflitto un dazio del 38,1 per cento. Nessuno è escluso, nemmeno europei e americani che producono in Cina ed importano poi nell’Ue. Volkswagen ha una joint venture con Saic. Tesla ha chiesto una verifica individuale per ottenere un dazio inferiore. I dazi entreranno provvisoriamente in vigore il 4 luglio. La loro adozione definitiva è prevista per novembre. 

Per Pechino la salvezza dai dazi passa per concessioni maggiori. Dentro la Commissione nessuno ci crede. Il governo cinese finora ha lanciato molte minacce di rappresaglie commerciali, ma non ha cooperato pienamente nell’indagine. Le minacce sono arrivate anche oggi. “Tipico protezionismo”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino: i dazi “danneggeranno gli stessi interessi dell’Europa”. La Camera di commercio cinese presso l’Ue ha evocato rappresaglie contro il cognac francese, i vini europei, gli aerei e il settore automobilistico. “La Cina prenderà tutte le misure per difendere con fermezza i nostri diritti e interessi”, ha detto il portavoce. Pechino ha un alleato nella Germania, che teme la guerra commerciale. Berlino avrebbe bisogno del sostegno di altri quindici paesi per bloccare i dazi. Per una volta, von der Leyen ha preferito favorire la Francia, di cui ha bisogno per una riconferma. Resta da capire se, in un probabile secondo mandato, deciderà di andare fino in fondo nello scontro con la Cina, rimodellando anche i tempi del Green deal.

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