Draghi, Letta e Tajani. Le tre (im)probabili carte italiane che Meloni può giocarsi in Ue

Avere un italiano alla guida dell’Europa fa comodo al governo, anche se tra i nomi più spendibili non ci sono amici della premier. Gli ostacoli europei e gli equilibri tra i ventisette

Bruxelles. Mario Draghi, Enrico Letta o Antonio Tajani: Giorgia Meloni ha tre nomi da giocarsi in Europa se vuole le posizioni che contano davvero, ma nessuno dei tre è un suo amico. Avere un italiano alla guida dell’Europa però servirebbe eccome al governo, basti guardare i benefici ottenuti dal mondo industriale tedesco in cinque anni di presidenza di Ursula von der Leyen. Anche se i nomi non sono di area FdI dunque per Meloni piazzare qualcuno al vertice dell’Europa, magari fingendo anche di farlo controvoglia, vorrebbe dire quindi aumentare le chance di successo delle riforme e quindi allungare la vita al suo governo. E infatti a Roma ci lavorano, ma la partita, che si giocherà quasi tutta il 17 giugno alla cena dei leader dei 27 Paesi membri a Bruxelles, è complicata e le possibilità di successo per l’Italia passano tutte da questi tre nomi.

Chi ha più chance di farcela è Mario Draghi, ma la “Operazione Super Mario’” (come la chiamano a Bruxelles) passa prima di tutto dal fallimento della riconferma di von der Leyen alla guida della Commissione Ue. Von der Leyen è infatti al momento l’unica vera candidata alla sua stessa successione. Ma la presidente in carica ha due problemi, non da poco: Parigi e Berlino. Diverse indiscrezioni infatti indicano il presidente francese Macron come principale sponsor di Draghi alla Commissione, spinto da una convergenza tra gli interessi economici francesi e la posizione positivista rispetto al debito comune dell’ex premier italiano. A Parigi piace anche l’idea di essere kingmaker ancora una volta di un nome nuovo e dirompente rispetto agli equilibri politici europei che vedono i liberali in caduta. A Berlino, invece, Scholz non ha gradito le aperture di von der Leyen a Meloni e, visto anche il calo interno di consensi del SpD, ha scelto la via dell’attacco contro l’esponente della Cdu. Che Draghi sia, al momento, l’unica vera preoccupazione di von der Leyen lo conferma anche il fatto a distanza di oltre un mese dall’incontro segreto tra Draghi e von der Leyen, rivelato dal Foglio, la presidente della Commissione ancora non abbia risposto alla richiesta formale di dettagli sui contenuti della loro conversazione. Per tenere a freno la competizione dell’ex capo della Bce, infatti, indiscrezioni tra i popolari parlano di una possibile offerta all’italiano da parte di von der Leyen di un ruolo di “super commissario all’economia”, con un portfolio monolitico che peschi dalla finanza sino alla concorrenza. Un ultimo ostacolo alla corsa di Draghi potrebbe però essere un ripensamento di Meloni stessa, “mettersi Draghi alla Commissione per Meloni vuol dire accettare che in prima pagina sui giornali per i prossimi cinque anni ci va lui e non lei”, provoca un eurodeputato liberale italiano che poi aggiunge “per Meloni però vuol anche dire durare cinque anni”.

Se dovesse andare in porto il bis di Ursula invece, la poltrona più ambita da assegnare a Bruxelles diventerebbe quella del presidente del Consiglio Ue che, visti i probabili risultati elettorali, dovrebbe spettare al gruppo dei Socialisti e Democratici che hanno già fatto sapere in via informale di non essere più interessati al posto di Alto Rappresentante, che finora ha portato solo grane e scarsi risultati elettorali. Tra i leader socialisti più papabili per la presidenza ci sono oggi il portoghese Antonio Costa ed Enrico Letta. L’ex premier italiano è anche lui molto amato Parigi ed è oggi forte del suo rapporto sul mercato interno, commissionato proprio dal Consiglio Ue, e per la cui stesura ha incontrato negli scorsi mesi a Bruxelles e nelle capitali i premier di tutti i 27 Paesi membri. Meno chiara invece la posizione del governo su questa possibilità, da una presidenza Letta al Consiglio Ue infatti Meloni avrebbe meno da guadagnare ma anche meno da temere, visto che in questo caso avrebbe comunque diritto alla nomina di un Commissario Ue di area meloniana. Un endorsement necessario per Letta sarebbe però quello del suo partito. E anche qui nulla è da dare per scontato visto che “dovesse passare Letta al Consiglio Ue invece a sparire dai giornali sarebbe Schlein”, punzecchiano dagli scranni del Terzo polo.

La partita per la presidenza della Commissione Ue, però, potrebbe anche prendere tutta un’altra strada se dovesse insabbiarsi sia il nome di von der Leyen che quello Draghi. A quel punto il Ppe, per mantenere la guida della Commissione Ue, dovrebbe guardare a nomi alternativi capaci di attrarre maggioranze più ampie e tutti gli indizi portano a oggi a tre nomi: il premier greco Kyriakos Mitsotakis, il premier croato Andrej Plenković e il vicepremier italiano Antonio Tajani. Tra questi tre nomi Mitsotakis sembra partire avvantaggiato, visto il potere del suo partito nella famiglia popolare e la vicinanza al leader del Ppe Manfred Weber, ma da Atene fanno sapere che il premier non sembra intenzionato a partire. In questo scenario Roma potrebbe battersi per far valere le ragioni dell’ipotesi Tajani, forse la meno probabile delle tre italiane, ma in fin dei conti anche l’unica di area di governo. Un’ipotesi che riporterebbe a Bruxelles qualcuno che in Europa ha già fatto quasi tutto, a eccezione, per l’appunto, del presidente della Commissione europea.

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