Il problema della non separazione delle carriere tra pm e giornalisti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Intervistato dal Messaggero, Giovanni Canzio, presidente emerito della Corte di cassazione, ha definito la separazione delle carriere “un progetto solo ideologico” che “produrrà l’effetto opposto a quello sperato” e “non porterà maggiori garanzie”. Per Canzio, l’urgenza è invece l’attuazione della riforma Cartabia che “interviene sulle reali emergenze”, vale a dire “rafforzare la funzione di controllo dell’ufficio gip-gup, vero snodo dei rapporti fra pm e giudice”. E’, dunque, la fragilità dell’ufficio del gip “il vero deficit”, e non la separazione delle carriere. Ufficio, spiega Canzio, che “deve essere enormemente potenziato” per ridare al gip i “poteri necessari a verificare la correttezza dell’operato del pm”. Tutto corretto. E’ proprio nella fase preliminare, infatti, che si producono i massacri mediatici per l’indagato, e quando interviene l’eventuale assoluzione, il danno è già bello che fatto. Canzio, dunque, coglie un punto decisivo. Quello che non si capisce nel suo ragionamento, però, è per quale ragione la separazione delle carriere non possa camminare parallelamente al necessario rafforzamento della figura del gip. Logica vuole, infatti, che la prima contribuirà anche all’indipendenza e dunque al potenziamento di quel giudice, da attuare con l’applicazione della riforma Cartabia. Se poi il timore è la trasformazione del pm in una sorta di superpoliziotto, basta dare un’occhiata alle inchieste più eclatanti per rendersi conto che, purtroppo, è già avvenuto.

Luca Rocca

L’unico problema della separazione delle carriere è che, anche grazie alla non separazione delle carriere tra pm e giornalisti, la separazione delle carriere resti un tema di cui parlare molto sui giornali ma poco in Parlamento.



Al direttore – Prendendo spunto dalla mostra in corso al Vittoriano a Roma, “Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini” – con al centro dell’esposizione il quadro del pittore Silvestro Lega raffigurante gli estremi istanti di vita di uno dei padri del Risorgimento – il prof. Giovanni Belardelli ha scritto un articolo (sul Foglio del primo giugno) sulla relazione di Mazzini con la morte e la reincarnazione. Il professore coglie nel segno quando afferma che l’insistenza di Mazzini nell’esaltazione della morte è parte rilevante della predicazione dell’illustre genovese circa la necessità del sacrificio e del martirio per la patria. Su questo concordo convintamente, non solo rispetto al pensiero di Mazzini, ma altresì sull’attualità di un richiamo al sacrificio per amor di patria. Ed è indubbio che l’idea di morte e reincarnazione che Mazzini coltivava ha rafforzato la sua volontà di non abbattersi di fronte alle cadute e ai rovesci che i tentativi insurrezionali mazziniani per l’indipendenza e la libertà dell’Italia hanno vissuto. Nondimeno, mi sia consentito di osservare che l’esaltazione della morte, del sacrificio e del martirio può anche ridursi a essere il segno del ripiego, del rifugio e della consolazione – romanticamente vissuti – di fronte all’inconcludenza di una spinta rivoluzionaria prevalentemente volontaristica e insurrezionalista e, per questo, votata al minoritarismo, al di là dei richiami verbali al popolo e alla nazione. Si dovranno attendere la visione e il pragmatismo geopolitici e strategici di Cavour e la capacità tattico-militare di Garibaldi per dare al sacrificio e al martirio per la patria – mazzinianamente intesi – una loro compiutezza ed efficacia vincenti in termini di unità politico-statuale e nazionale. Quanto sono storicamente attuali questi padri del Risorgimento italiano, nella fase di preoccupante disordine mondiale che stiamo vivendo in l’Italia e in Europa!

Alberto Bianchi

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