Come i filoucraini della prima ora si sono fatti via via più silenziosi

Gli intiepiditi sostenitori dell’Ucraina sembrano ricadere nell’equivoco per cui solidarietà e soccorso esigono che l’aggredito sia buono e promettente e incarni il riscatto dell’umanità, e che non basti che sia l’aggredito

Tra i fenomeni laterali ma interessanti del sentimento pubblico sull’Ucraina c’è il diffuso silenzio di chi, persone e giornali, al momento dell’invasione russa e per qualche tempo ancora, prese pubblicamente posizione in favore della resistenza degli aggrediti e contro la prepotenza degli aggressori. Non so spiegarmi bene questo progressivo inabissamento, e tendo a pensare che abbia più motivazioni diverse. La prima, e la più insignificante, riguarda persone e organismi pubblicamente esposti che preferiscono, messa a posto la coscienza, non andare contro l’aria che tira: pensano di avere qualcosa da perdere, e preferiscono tenersela. Un’altra ragione probabile sta nella constatazione della mancata controffensiva ucraina nell’estate del 2023, che ripetesse e completasse quella smagliante del settembre 2022. Una tal delusione è stata aggravata dalla sicumera della leadership ucraina, che protrasse l’annuncio di un’avanzata decisiva, col risultato di rendere più vistoso il suo fallimento. Qualunque motivazione avesse – animare i combattenti e la cittadinanza, rafforzare la fiducia degli alleati – quella sicumera fu un errore. Trasformò il successo della inattesa ed eroica resistenza ucraina – “la Russia, se non vince, perde; l’Ucraina, se non perde, vince” – nel suo contrario. Annunciando una vittoria piena, la riconquista della Crimea e il ripristino dei confini del ’91, si è addossata la responsabilità opposta: “L’Ucraina, se non vince, perde; la Russia, se non perde, vince” – ed è quello che la propaganda russa ha cavalcato. Ma era una buona ragione per tacitare o intiepidire la solidarietà con l’Ucraina? La solidarietà era condizionata alla vittoria militare ucraina? Sarebbe uno strano sentimento. E andrebbe a congiungersi a quello degli originari tifosi filorussi o antiucraini (o le due cose) fautori dall’inizio della resa in nome della palese superiorità della potenza militare russa. I quali, nelle difficoltà e nelle ritirate della resistenza ucraina, vantano la propria lungimiranza, che non è se non la scelta di stare col più forte e il più spregiudicato nell’impiego della forza bruta.



Si può forse evocare un’altra spiegazione del sostegno iniziale fattosi taciturno e reticente: una delusione rispetto al paesaggio politico ucraino, alla fragilità opaca della leadership e degli avvicendamenti, alla permanenza, peraltro apertamente denunciata, della corruzione grande e piccola. Non parlo degli adepti alla tesi del Cremlino sull’Ucraina nazista e da denazificare, cara a chi crede di conoscere la storia e non ha idea di ciò di cui predica. Proprio in questi giorni, nel territorio di Kharkiv, c’è una drammatica controprova dei sentimenti della gente: dai paesi e dalle città che furono occupate dai russi e poi riconquistate dall’Ucraina, le persone, che continuano a parlare russo, scelgono una sola strada all’evacuazione dalle bombe. La mammina russa ha artigli di cui si è già fatta la prova. Ora, benché i dirigenti ucraini, civili e militari, di ogni grado, non possano essere spogliati della loro responsabilità, la devastazione materiale e le sofferenze intime della popolazione ucraina sono il risultato dell’aggressione russa, della sua durata e della sua vile intensificazione. Gli intiepiditi sostenitori dell’Ucraina sembrano ricadere nell’equivoco per cui solidarietà e soccorso esigono (e immaginano) che l’aggredito sia buono e promettente – il vietnamita, il palestinese… – e incarni il riscatto dell’umanità, e che non basti che sia l’aggredito.




Sono finalmente arrivate le elezioni europee. Sono molte le voci pubbliche che gareggiano nel rivendicare “la pace” come la questione decisiva, per la quale chiedono il voto. Platealmente dispersi. Lo fanno i Cinque stelle, una perfetta somatizzazione politica dell’ipocrisia, passati dal Superbonus alla Pace. Lo fa l’alleanza di Verdi e Sinistra, che ha sempre più sacrificato altri temi a quello del ripudio delle armi all’Ucraina – disarmare Putin, non sono fatti suoi. Lo fa lo stentoreo Tarquinio che ha preso il passaggio sul torpedone democratico, dopo averlo trattato con altri (Cecilia Strada ha un altro retroterra). Lo fanno Santoro e i suoi, cui evidentemente non bastava accasarsi con altri aspiranti titolari dell’impegno pacifista, a costo di sprecarne e comunque di sparpagliarne i suffragi. E si sgola a farlo Salvini, di ritorno sulla Piazza Rossa. Al servizio della pace, e viceversa: la pace a doppio servizio.

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