La pioggia sul Pigneto. Un giorno di ordinario maltempo a Roma

Basta la minaccia dell’acquazzone e sulla strada che appariva scorrevole sparisce ogni spazio vuoto. Cronache di un cittadino romano alle prese con le conseguenze della pioggia nella città eterna

Se Joel Schumacher avesse deciso di ambientare ‘Un giorno di ordinaria follia’ a Roma, possiamo essere ragionevolmente sicuri che il protagonista William ‘Bill’ Foster, magistralmente interpretato da un quadratissimo e nevrotico Michael Douglas, non si sarebbe mosso in una città irrorata dal caldo sole agostano ma in uno scenario grigio e plumbeo di pioggia. Il rapporto tra Roma e la pioggia infatti è improntato al più evidente caos, alla entropia inarrestabile, e appunto alla follia.

E se per i torrenziali acquazzoni che, a volte, si abbattono sulle disastrate strade capitoline vengono a formarsi scenari desolati da tsunami o da monsone filippino, con strade inondate, caditoie e tombini cementificati, autovetture sommerse e galleggianti a pelo d’acqua, è più curioso quel fenomeno per cui basta una sola stilla di pioggia, una sola nuvola nera desiderosa di scaricare un po’ di pioggia, ed ecco la città annegare in una replica strutturale e virtuale di “Waterworld” pur senza acqua: è sufficiente la mera promessa, o la minaccia, di pioggia, per incunearsi e perdersi nel labirinto eterno di vetture che i romani riesumano persino dai musei pur di attraversare l’altro lato della strada.

Piove, ma non è la pioggia nel pineto. Piuttosto, la pioggia sul Pigneto. E quando piove eccole le macchine, spuntano come mandrie impazzite di bufali d’acciaio, caricano, occupano le sedi stradali, si accartocciano in conformazioni geometriche e alchemiche, inestricabili; e se prima, un istante prima, sotto un pallido sole, la strada dove ti trovi appariva scorrevole ecco che con la prima pioggia in un magistrale gioco di prestigio non c’è un più singolo spazio vuoto, senti i clacson impazziti, le marmitte che ruggiscono, gli insulti, le imprecazioni, un oceano di lamiere che non si capisce da quale gorgo spazio-temporale sia emerso.

Il romano teme la pioggia. Ma non è questione scaramantica o divina. È tragica consapevolezza di quanto il trasporto pubblico cittadino sia fallace, imprevedibile, burlone, dai tempi di attesa oscillanti tra il geologico e l’esoterico. E così, per non doversi infradiciare alle fermate, raramente riparate da tettoiette e sempre sovrappopolate, il pendolare, la massaia, lo studente, la professoressa, il dipendente pubblico optano per l’autovettura. E si ingorgano nel delirio più assoluto.

E questa pioggia, anche pioggerella e se si preferisce pure mera previsione meteo che annuncia disastri e temporali poi rivelatisi scrollatina angelica di due minuti due, rende la città cimitero statico e inerziale di traffico, a cui si aggiungono in una via crucis intempestiva, febbricitante e delirante i cantieri, gli incidenti, le doppie, triple file, le ostruzioni viarie impreviste.

Volendo raggiungere ulteriori vette estatiche e martirologiche, la combo pioggia-sciopero dei mezzi. In quei frangenti, la città si trasforma in una transumanza disperante di corpi alla deriva, ramoscelli portati via dalla foga di una assenza di qualunque prospettiva, ombrelli spezzettati dal vento, dalla calca, corpi che cercano di aprirsi un varco, esistenziale prima di tutto, tra i fiumi impazziti di auto. E così si scrutano, i paria a piedi, fustigati da vento e pioggia, e i prigionieri delle macchine, si scrutano per infiniti momenti senza che nessuno capisca chi tra i due sta davvero peggio.

Ci sono poi quei frangenti, surreali, dark fantasy nei fatti, come nel caso dello sciopero dei tassisti e del relativo fumoso corteo che ha paralizzato il quadrante centrale, dove si stagliano i palazzi del potere. Giornata di annunciato temporale, annunciato e strombazzato ma non realizzatosi; delirio di traffico comunque garantito.

Tra via del Corso, piazza Venezia, complice pure il solito cantiere, e poi su per via del Tritone, ove a onor del vero il caos è ormai eterno e garantito. Non c’era modo di passare. La stasi assoluta, e non la nietzschana gioia dell’eternità. Quasi tenerezza ha fatto Roma Mobilità poi nell’annunciare che il traffico, cessato il corteo, stava tornando normale anche su via del Tritone. Via che da quando i due marciapiedi si sono estesi assumendo la fisionomia di aree-pedonali è satura e immobile, stretta come un pertugio che farebbe timore persino a uno speleologo.

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