Il premier spagnolo sta recuperando lo svantaggio con i popolari litigando con Milei e sventolando la bandiera palestinese. Il potere di un calcolo
Il sempiterno conflitto tra le due Spagne, quella rossa e quella blu, ora avvampa e ora si acquieta. In questo momento la temperatura è decisamente alta: ieri, dopo che l’Audiencia provincial di Madrid ha contraddetto il precedente pronunciamento della Fiscalía e ha dichiarato che l’indagine sulle attività lavorative della moglie del premier socialista Pedro Sánchez può procedere, quest’ultimo e il capo del Partito popolare di centrodestra Alberto Núñez Feijóo si sono presi a male parole (“Lei ha mentito, la Moncloa è indagata per corruzione”, ha detto Fejóo; “E’ fango, fango, solo fango” e “il 9 giugno perderete di nuovo le elezioni”, ha replicato Sánchez). Ecco, al di là delle notizie di giornata, già da un anno la metà del paese o giù di lì – con l’avallo di una parte almeno del Partito popolare e di tutta l’estrema destra sovranista e con la media partnership di un bel pezzo dell’informazione conservatrice più arrembante – considera in fondo illegittimo il governo di Sánchez. Le elezioni dello scorso luglio – pensano (e dicono) a destra – sono state vinte dai popolari: i socialisti sono arrivati secondi fermandosi a 1,3 punti percentuali e a sedici seggi di distanza dal partito guidato da Feijóo. Poi – pensano (e dicono) a destra – Sánchez ha messo insieme una baraonda di regionalisti, nazionalisti, secessionisti, terroristi, comunisti e movimentisti e solo così è riuscito a ottenere la maggioranza, ma questo non è un governo: è un amalgama colloso che Sánchez ha confezionato per riuscire a rimanere appiccicato alla poltrona. Le elezioni europee erano quindi attese, a destra, come l’occasione per infliggere una débâcle elettorale ai socialisti, mostrare che il premier è nudo e pretendere nuove elezioni. E, in effetti, nei mesi scorsi – e soprattutto mentre si dibatteva in un clima arroventato della legge di amnistia per l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont e gli altri leader politici che avevano tentato la secessione nel 2017 – i sondaggi in vista delle europee mostravano delle distanze siderali tra il Pp e il Psoe: 10, 12, 15 punti percentuali. Da ultimo, però, qualcosa è cambiato. E i sondaggi (che per la verità, in Spagna, non sono troppo attendibili né quando il Psoe scende né quando il Psoe sale) hanno cominciato a registrare una notevole riduzione del distacco: 8, 5, 3 punti. E i socialisti ora sognano il pareggio. Ma che cosa è successo? E’ successo che Sánchez ha affinato e accelerato la sua consueta, cinica spregiudicatezza.
Le cinque giornate e le elezioni. In aprile, sull’onda di alcuni scoop di dubbia fondatezza intorno a presunte condotte indebite da parte della moglie di Sánchez, Begoña Gómez, e su istanza del sedicente sindacato Manos Limpias, che ha come unica ragion d’essere il fare denunce un po’ a caso basate su ritagli di giornale, un magistrato ha aperto un’indagine per corruzione e traffico d’influenze, che rimane basata su presupposti fragili, nonostante la decisione di ieri dell’Audiencia provincial di Madrid. Sánchez, vestendo i panni del premier offeso e innamorato, è allora ricorso a un’iniziativa inusitata, ritirandosi per cinque giorni di silenzio durante i quali decidere se valesse la pena continuare a svolgere il suo incarico se questo voleva dire esporre sua moglie a iniqui attacchi. Questa mossa da re di cuori – un po’ maschio depatriarcalizzato disposto a fare un passo indietro per non immolare la consorte sull’altare della propria carriera e un po’ macho superalfa che ruggisce: non toccate mie moglie sennò tiro giù il mondo! – aveva spiazzato tutti. Ma quando ha finalmente sciolto la riserva, annunciando di voler rimanere a svolgere il suo mestiere di capo del governo “con più forza di prima”, ecco che Sánchez è riuscito a stringere a coorte intorno all’“o noi o i fascisti” le falangi di elettori nostalgici del “¡No pasarán!”. Intanto nelle elezioni regionali dei Paesi Baschi, in cui si è andato al voto subito prima delle “cinque giornate” di Sánchez, e soprattutto in quelle catalane che si sono svolte subito dopo, i socialisti sono andati molto bene. E visto che i vari partiti secessionisti catalani, per la prima volta in molti anni, non hanno raggiunto un numero complessivo di seggi che possa permettere loro una maggioranza indipendentista, ecco che Sánchez ha potuto affermare che la sua ricetta era quella giusta: laddove i popolari, con il loro pugno di ferro, hanno fornito per anni combustibile retorico (e voti) ai separatisti, lui, invece, tendendo a Puigdemont & C. una mano rivestita del guanto di velluto dell’amnistia, ha bucato la bolla del vittimismo e ha sconfitto l’indipendentismo nelle urne.
Mia moglie non si tocca! Il premier innamorato costruisce i nemici perfetti, mettendo a rischio interessi non piccoli
La crisi diplomatica con Milei. In questo momento le relazioni tra Spagna e Argentina sono interrotte, Madrid ha richiamato il suo ambasciatore a Buenos Aires, “permanentemente”, dice il comunicato ministeriale – cosa improbabile, ma si vedrà. La faida con il presidente argentino, Javier Milei, serve adesso e funziona. La storia, in breve: Milei è arrivato in Spagna all’inizio del mese invitato da Vox, che ha organizzato un festival internazionale con i leader dei partiti alleati in Europa e nel mondo. Il presidente argentino non ha organizzato parallelamente incontri di cortesia con il governo (non era una cosa dovuta) e nel suo discorso come d’abitudine scoppiettante – faceva il cantante rock, Milei, ha senso del palco e dello spettacolo – ha detto che il Partito socialista di governo ha un’influenza “malefica e cancerogena” sulla società spagnola e poi, parlando di Sánchez: “Ha una moglie corrotta e ci ha messo cinque giorni per pensarci su”. Apriti cielo, mia moglie non si tocca, ha detto il premier, o ti scusi o qui succede un casino. Milei ha risposto che il primo a essere stato offeso era stato lui – alcuni ministri del governo di Madrid avevano detto in passato che il presidente argentino assume sostanze stupefacenti, è un drogato, è un uomo fuori controllo e quindi pericoloso – e che semmai toccava a Sánchez scusarsi, e ancora: lo sanno tutti che la moglie del premier spagnolo è corrotta e che pure lui è immischiato e ha fatto pressioni per i giudici; il premier spagnolo è ossessionato da me, accenna a scenari apocalittici causati da me e nessuno si è verificato, e – citiamo – “chi è totalitarista qui? Lui usa i suoi problemi personali per favorire un movimento che aspira a creare un colpo di stato” in Argentina. Nessuno si è più scusato, entrambi si sono offesi, Sánchez ha ritirato l’ambasciatore, Milei no. Il Partito popolare s’è infilato nella diatriba dicendo che il primo ministro è isterico e sproporzionato nelle reazioni, ma sa che di vantaggi gliene vengono davvero pochi. Semmai si è ringalluzzito l’elettorato di Vox e quello che del Pp del moderato Feijóo non sa proprio che farsene, quindi il risultato netto per i popolari è in perdita. Sánchez poi attacca anche sull’altro fronte: Feijóo ha detto di essere pronto a una collaborazione in Europa con Giorgia Meloni, all’interno di quel dialogo aperto tra il Partito popolare europeo e parte dell’Ecr meloniano, e il Psoe ha pubblicato un video di camicie nere e braccia alzate intervallate dalla faccia di Meloni dicendo: “Questi sono i fascisti con cui Feijóo vuole fare patti in Europa”. Che, da parte di Sánchez, è un’altra utile mostrificazione, con un sottotesto: se proprio dovete votare i fascisti, votate quelli veri, non i mezzi travestiti.
Ammazziamoli di baci. Poco dopo le elezioni catalane, Fernando Garea, vicedirettore del quotidiano digitale El Español, ha scritto: “In questi giorni, un importante esponente dello staff di Sánchez, parlando della strategia di accordi del capo del governo con Junts e Esquerra republicana de Catalunya che hanno finito per ridurre in macerie questi stessi partiti indipendentisti nelle urne, affermava: ‘Li abbiamo ammazzati con i baci, li abbiamo ammazzati di amore, come avevamo già fatto con Podemos’. E questo stesso dirigente socialista ora fa un mezzo sorriso quando gli si chiede se il premier sta adottando la stessa strategia con la sua vice, Yolanda Díaz, leader della piattaforma della sinistra radicale Sumar: ammazzarla di amore, di dialogo, di patti e di riconciliazione”. E di amore per la Palestina, si potrebbe aggiungere.
“O noi o i fascisti” e il soffocamento della sinistra radicale. Poi per le cose concrete si vedrà, basta per ora dare le carte
Il riconoscimento dello stato palestinese. Il premier spagnolo ha riconosciuto formalmente lo stato palestinese, con maggiori fanfare rispetto a Irlanda e Norvegia ma con la stessa inevitabile vaghezza, ché sulle istituzioni di questo stato, su chi le governa e su quale territorio, ci sarebbero un paio di cose da puntualizzare. Ma Sánchez va a caccia di simboli e di trofei da esibire, procede con questo suo cinismo spregiudicato ammantandolo di cause giuste e doverose, come dice lui, e naturalmente il riconoscimento di uno stato per i palestinesi non gli fa perdere, nella sinistra spagnola, nemmeno un voto. Anzi, semmai sbriciola quel che resta dei due partiti alla sua sinistra, Sumar e Podemos, che non si presentano uniti alle elezioni europee e che si sono persi in cannibalismi vari fino a sfinirsi di irrilevanza. Poiché questa è una gara per rimanere al potere e diminuire le rogne interne, Sánchez è disposto a tutto. Yolanda Díaz dice che a Gaza è in corso un genocidio? Poco dopo arriva la ministra della Difesa, la socialista Margarita Robles a rilanciare: “Non possiamo ignorare il fatto che a Gaza è in corso un vero e proprio genocidio”. Il calcolo di Sánchez è sempre lo stesso: se una bandiera della sinistra posso sventolarla io e consolidare voti e potere, perché dovrei lasciarla a Sumar o a Podemos?
L’accordo bilaterale con Kyiv. Questa settimana, il premier spagnolo ha accolto a Madrid Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, con un accordo bilaterale in materia di sicurezza e difesa che prevede aiuti militari di oltre 1,1 miliardi di euro nel 2024. Il memorandum d’intesa ha una durata decennale, che comprende oltre alle armi, cooperazione civile e umanitaria fino alla ricostruzione e all’entrata dell’Ucraina nella Nato. “Resteremo accanto all’Ucraina per tutto il tempo necessario, fino a che sarà garantita la sua libertà, rispettata la sua sovranità nazionale e restaurata l’integrità territoriale”, ha detto Sánchez, ricordando che la Spagna ha già stanziato nei fondi europei 11 miliardi di euro e ne prevede altri 5 fino al 2027. Un giornalista ha posto la domanda fatidica: queste armi, che comprendono anche i Patriot, potranno essere usate in territorio russo? “L’accordo non lo contempla”, ha risposto Sánchez equilibrista, ma è comunque un impegno “enorme” e duraturo. Come questi fondi saranno approvati nel Parlamento spagnolo è tutto da vedere, visto che c’è una certa ostilità a spendere soldi per l’Ucraina e il premier ha bisogno del sostegno di altri partiti, ma questo ora non gli importa. Gli accordi bilaterali sono in linea con quello che stanno facendo i paesi europei pro Kyiv per ovviare ai veti e ai ritardi che si accumulano quando si deve decidere in 27 paesi, ed è anche in linea con quel che vuole il cancelliere tedesco, il socialdemocratico Olaf Scholz, cioè con un capo di governo che appartiene alla stessa famiglia europea di Sánchez e con il quale sarà utile collaborare quando, dopo il voto, si dovranno decidere i prossimi leader dell’Unione europea.
Ora bisogna vedere se i sondaggi continueranno a segnalare un accorciamento delle distanze tra i popolari e i socialisti, e se all’apertura delle urne i voti veri, espressi dagli elettori spagnoli per il rinnovo del Parlamento europeo, confermeranno quei sondaggi. Tra l’altro molti dei mille fronti aperti da Sánchez nelle ultime settimane rimarranno comunque aperti. Chi governerà in Catalogna (si troverà un accordo o si tornerà al voto)? Lo si vedrà poi. Come si ricucirà lo strappo con l’Argentina, che per la Spagna resta un tassello molto importante? Lo si vedrà poi. Chi voterà davvero nel Parlamento spagnolo a favore degli aiuti promessi all’Ucraina? Lo si vedrà poi. Come si farà a gestire l’alleanza di governo con una sinistra radicale in grave affanno elettorale e a cui il premier ha strappato a una a una quasi tutte le bandiere, mettendosi a sventolarle lui? Lo si vedrà poi. Intanto, però, solo al comando, sempre più spregiudicato nelle sue scelte, incline al perenne raddoppio della posta e perlopiù incurante di chi nel Psoe, da Felipe González in giù, ha manifestato a più riprese le sue perplessità – sulla legge d’amnistia, sulle alleanze, sui rapporti con il Partito popolare e con i partner europei, sull’opportunità di ritirarsi per cinque giorni sull’Aventino perché la moglie si è offesa lasciando il paese appeso al suo punto di domanda – Sánchez continua la sua navigazione. Almeno per ora, è sempre e solo lui quello che distribuisce le carte. Gli altri – e in particolare il capo dell’opposizione Feijóo – rimangono a guardare.
(ha collaborato Guido De Franceschi)