I calcoli e le illusioni delle (quattro) destre europee

Che effetto fa il divorzio tra l’AfD e i lepenisti sul sogno di Orbán, di Meloni e di von der Leyen. I gradi di frequentabilità e la profezia di una filosofa

Il divorzio tra l’estrema destra francese e quella tedesca è stato dichiarato in modo sbrigativo, a ridosso delle elezioni europee, ma si è consumato nel tempo, anzi forse c’è anche la data della rottura: il 10 gennaio di quest’anno, quando una prima inchiesta giornalistica ha rivelato che degli esponenti dell’Alternative für Deutschland, l’AfD, e di altri movimenti paranazisti si erano ritrovati a Postdam per un incontro segreto in cui si pianificavano deportazioni di massa dalla Germania. Ci furono delle proteste, l’AfD negò la partecipazione a quell’incontro, ma poi il 31 gennaio un’altra inchiesta confermava e rilanciava. Ma vi chiederete: che cosa avrà mai turbato tanto il Rassemblement national francese, il partito lepenista che non ha mai sguazzato in ambienti poi così distanti? La risposta è: il calcolo politico. Marine Le Pen ambisce a diventare presidente della Francia e per farlo deve diventare una destra di sistema: da tempo ha avviato un’operazione cosmetica fatta di colori pastello, di dichiarazioni meno brusche e ora di un candidato alle europee che ha interpretato in modo impeccabile quest’idea di restaurazione, Jordan Bardella. La strategia si è rivelata efficace, il Rn ha sondaggi sontuosi, quel che non gli è riuscito nel 2019, quando di fatto pareggiò con i macroniani, riuscirà, e alla grande, nel giugno del 2024: viaggia attorno al 30 per cento dei consensi, quasi il doppio del partito del presidente Emmanuel Macron. In questo calcolo lepenista, per ora perfetto, un alleato come l’AfD che invece vuole prendere i voti estremisti – e che non disdegna di rilasciare dichiarazioni filonaziste per cui finisce in tribunale – non ci sta più. Come sempre, alle elezioni europee, c’entrano più le dinamiche nazionali che quelle europee, e ancora più vale per partiti che appartengono a un gruppo – Identità e democrazia – che rifiuta regole e ispirazioni comunitarie. La goccia che ha portato al divorzio ufficiale si chiama Maximilian Krah, è il capolista dell’AfD alle europee, è sospettato di essere il terminale di azioni di destabilizzazione e spionaggio da parte della Russia e della Cina e ha detto in un’intervista a Repubblica che l’appartenenza alle SS naziste non fa di te un criminale. Krah è stato ora interdetto dalla stessa AfD e non potrà partecipare agli eventi elettorali: resta il capolista e poiché l’AfD è circa al 15 per cento dei consensi sarà rieletto al Parlamento europeo.

L’effetto di un divorzio. Le ripercussioni del distacco tra il Rn e l’AfD non si limitano ovviamente a Francia e Germania. E’ uno smottamento per tutti i gruppi a destra dei conservatori del Partito popolare europeo (Ppe): infatti l’ipotesi vagheggiata di costruire una maggioranza alternativa a quella tra le tre forze europeiste al centro dell’emiciclo del Parlamento europeo – cioè il Ppe, Socialisti&Democratici e i liberali di Renew Europe – si fa molto più remota. La cosiddetta “maggioranza Giorgia” – dal nome della premier italiana Meloni e della sua coalizione che comprende il suo partito, Fratelli d’Italia che siede nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei, l’Ecr; la Lega, che siede nel gruppo Identità e dimocrazia; e Forza Italia che è nel Ppe – non ha grandi possibilità di prenderà il posto della cosiddetta “maggioranza Ursula”, cioè dei gruppi che hanno sostenuto nel 2019 la nomina dell’attuale presidente della Commissione von der Leyen, costituita dal centro dell’emiciclo europeo. Lo scontro interno all’estrema destra dimostra le infinite divisioni che impediscono ai partiti nazionalisti di offrire un progetto comune per l’Unione europea: l’incompatibilità è strutturale. In questo contesto la tentazione del Ppe e della sua candidata alla presidenza della Commissione, cioè sempre von der Leyen, di aprire alla collaborazione con alcuni partiti nazionalisti considerati a Bruxelles “frequentabili” è quanto mai rischiosa. Con il divorzio dall’AfD, la coppia Le Pen-Bardella indebolisce le prospettive del gruppo Id, che perderà una quindicina di deputati. Gli altri scenari su cui si consumano caffè e cene a Bruxelles, come l’ingresso di Le Pen e di altri partiti di estrema destra nell’Ecr a trazione meloniana, accenderebbero scintille una via l’altra, creando fughe e ricollocamenti.



Il cordone sanitario. Il via libera da parte del partito liberale Vvd del premier uscente, Mark Rutte, all’accordo di governo con il leader islamofobo e antieuropeo Geert Wilders non è piaciuto alla leadership del gruppo Renew al P. Il Pvv di Wilders “è l’opposto di ciò che difendiamo sui valori, lo stato di diritto, l’economia, il clima e, ovviamente, l’Europa”, ha detto la capogruppo di Renew, la francese Valérie Hayer. Il 10 giugno, il giorno dopo le elezioni europee, ci sarà una riunione di Renew nella quale Hayer chiederà l’espulsione del Vvd, per anni un pilastro della famiglia politica liberale europea. E’ una questione di coerenza. L’8 maggio Renew ha firmato una dichiarazione congiunta con il Partito socialista europeo, i Verdi e la Sinistra per impegnarsi a rifiutare qualsiasi cooperazione o alleanza con l’estrema destra al Parlamento europeo e a livello nazionale. I socialisti hanno sospeso il partito slovacco Smer, dopo che Robert Fico ha formato una coalizione con l’estrema destra per tornare al potere. Tra le famiglie politiche europeiste, soltanto il Ppe ha rifiutato di firmare la dichiarazione congiunta “in difesa della democrazia”, che vorrebbe essere un impegno assoluto ad applicare il cordone sanitario europeista e liberale. Il suo capogruppo, Manfred Weber, ha scelto di chiudere gli occhi sulle alleanze con l’estrema destra per permettere il ritorno al potere nelle capitali dei partiti del Ppe.


Il sogno orbaniano. L’alleanza di tutti i nazionalisti è il sogno di Viktor Orbán. Nel 2021 il premier ungherese aveva promosso un manifesto di tutti i partiti nazionalisti anti europei, al quale avevano aderito Meloni, Le Pen, Matteo Salvini, leader della Lega, Mateusz Morawiecki, allora premier polacco del PiS, Santiago Ascabal, leader di Vox, l’estrema destra spagnola, e altri sovranisti. Oggi Meloni ha un altro piano e vorrebbe esportare nell’Ue la maggioranza che guida a Roma, che quindi dovrebbe andare dal Ppe a Id, con l’Ecr come perno e regia.

Da tre a quattro. Il divorzio tra il Rn e l’AfD mostra che ci sono quattro destre in Europa: quella tradizionale moderata del Ppe, che si sta spostando su posizioni sempre più conservatrici, come dimostra l’apertura di von der Leyen a Ecr; quella sovranista e nazionalista della parte “frequentabile” dell’Ecr considerata tale perché è al governo e siede al Consiglio europeo con Meloni e con il premier ceco, Petr Fiala. Poi c’è la terza destra, quella che vuole mostrarsi “frequentabile” e si ripartisce tra l’Ecr e Id: Le Pen e Salvini (membri di Id) hanno bisogno di dimostrare ai loro elettori nazionali di contare nell’Ue, così come gli spagnoli di Vox (membri di Ecr) hanno interesse a essere associati a Meloni per offrirsi come alternativa credibile di governo a Madrid. La quarta destra è l’estrema destra che rivendica la propria infrequentabilità, come l’AfD in Germania e come l’Fpö in Austria, il Vlaams Belang fiammingo in Belgio, l’Ekre in Estonia o gli eredi di Alba dorata in Grecia. In questi quattro mondi ci si sposta a seconda delle convenienze nazionali. Geert Wilders (il cui partito Pvv è nel gruppo Id) ha edulcorato le sue posizioni antieuropee per diventare l’azionista di maggioranza del prossimo governo nei Paesi Bassi. I Democratici svedesi e i Finlandesi (entrambi di Ecr) hanno accettato alcuni compromessi per andare al potere. I polacchi del PiS (di Ecr) si sono radicalizzati dopo che hanno perso elezioni e governo lo scorso anno e ora sembrano pronti a un’alleanza di tutte le destre estreme, malgrado le posizioni filorusse di Le Pen e Salvini. Ma ogni spostamento a livello di gruppi al Parlamento europeo provoca un altro smottamento per le incompatibilità reciproche tra questi partiti.


Un Ecr più grande. Come dicevamo, un’ipotesi dopo la rottura tra il Rn e l’AfD è la creazione di un grande gruppo dell’Ecr, che potrebbe fare concorrenza ai Socialisti&Democratici per diventare la seconda formazione del Pe, grazie all’ingresso della Lega di Salvini e del Fidesz di Orbán. Ma il partito ceco Ods di Fiala e i Democratici svedesi minacciano di andarsene se saranno aperte le porte al Fidesz ungherese filorusso. I nazionalisti fiamminghi dell’N-VA hanno già detto che stanno cercando un’altra famiglia politica europea perché l’Ecr si è spostato troppo a destra. Un grande gruppo nazionalista dell’Ecr con Le Pen e altri, inoltre, isolerebbe Meloni dentro il Consiglio europeo, proprio come lo stesso Orbán. Pure per il Ppe ci sono dei grandi rischi: i belgi francofoni Engagés stanno cercando un’altra casa perché questa è troppo a destra. La Coalizione civica del premier polacco Donald Tusk, che è stato presidente del Ppe, non accetterebbe mai di cooperare con il PiS. E non abbiamo ancora citato le incompatibilità e le divergenze su temi essenziali per la prossima legislatura: la governance economica, gli aiuti militari all’Ucraina, l’allargamento, il rafforzamento dell’industria della difesa finanziato dall’Ue, gli aiuti di stato, il mercato unico e l’unione dei mercati dei capitali. Poi ci sono i numeri: le proiezioni in vista delle elezioni dicono che le quattro destre non sarebbero in grado di avere la maggioranza assoluta degli eletti, a meno di non includere i partiti populisti di sinistra della Slovacchia.


Fino al 9 giugno Le Pen può dire ai suoi potenziali elettori che con l’AfD ha chiuso. Il 10 giugno sarà un’altra storia, che non riguarda soltanto l’aritmetica interna alle destre. Von der Leyen è la candidata del partito che prenderà più voti alle elezioni, ma sono i leader di stato e di governo che devono indicarla come prossima presidente della Commissione ed è il Parlamento europeo che deve confermarla. Le sue aperture a destra le stanno costando il sostegno dell’altra metà del cielo e pure del suo centro, dove c’è pure Macron che avrebbe qualche difficoltà a sostenere una candidata che ha anche il sostegno di Le Pen. Che fare? Quando dicevamo che di fronte a una grande emergenza istituzionale in Europa, Mario Draghi sarebbe risultato il salvatore necessario, forse pensavamo a questo, alla realizzazione di quel che ci aveva detto nel 2019 la filosofa ungherese Agnes Heller: i nazionalisti finiranno per prendersi tutti a calci nel sedere.

(ha collaborato David Carretta)

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