La Santa Sede chiama Pechino

Il segretario di stato Pietro Parolin auspica “una presenza stabile in Cina”. Il grande obiettivo di Francesco è aumentare i contatti con la potenza asiatica

“Siamo tutti interessati a che l’Accordo sulla nomina dei vescovi possa essere rinnovato e anche che alcuni punti possano essere sviluppati. Noi auspichiamo da tempo di poter avere una presenza stabile in Cina anche se inizialmente potrebbe non avere la forma di una rappresentanza pontificia, di una nunziatura apostolica ma comunque di aumentare i contatti poi la forma può essere diversa”. A dirlo è stato ieri, a margine del convegno internazionale “100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente”, che s’è svolto ieri alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, il cardinale Pietro Parolin. Parole pesanti, tutt’altro che di circostanza, soprattutto perché pronunciate dal segretario di stato della Santa Sede che – pur essendo il principale tessitore del negoziato con Pechino – finora s’era sempre espresso con estrema prudenza circa i contenuti dell’accordo e sulla necessità di apportare qualche ritocco sostanziale (ben più ottimista è sempre stato, invece, il Papa).

Ora Parolin non solo è favorevole al rinnovo dell’intesa, ma auspica che si compia anche quel passo diplomatico che finora era sembrato irrealizzabile. Difficile che si possa parlare, al momento, di rappresentanza pontificia o addirittura di una nunziatura (i tempi non sono maturi), ma già il fatto che se ne parli fa comprendere come non si tratti solo di speranze ma di qualcosa di più concreto. Dopotutto, uno dei grandi obiettivi del pontificato di Francesco è l’apertura alla Cina, nonostante le forti opposizioni di una consistente parte di cattolicesimo locale – si pensi solo alle accuse più volte mosse dal cardinale Joseph Zen contro quello che è da lui percepito come un appeasement nei confronti di Xi Jinping. Si vedrà, ma considerata l’estrema delicatezza della questione – che si fa con Taiwan, che la Santa Sede riconosce? – e il fatto che l’auspicio giunga dal segretario di stato, si può intuire che le distanze con la Cina sono meno ampie di quel che appaiano.

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