Cosa ci insegna il ritrovamento di un inedito di Montale all’Università di Pavia

La notizia affascina per diverse ragioni. Ma pone anche alcune domande sull’efficienza dell’ateneo pavese

Abbondano i motivi di fascino nel ritrovamento, da parte di una docente dell’Università di Kyoto, di un inedito montaliano presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia (ne ha parlato Luca Mastrantonio su Sette). Affascina scoprire come ogni autore sia senza fondo, e che la scrittura sia un pozzo da cui continuare a estrarre materiale, poiché la sua radice si trova in un punto indefinito dell’animo, che resta in fin dei conti irraggiungibile e che nessuna pubblicazione potrà mai esaurire.

Affascina tuttavia anche l’accorgersi che, onestamente, anche Montale aliquando dormitat e scrive occasionali poesie bruttarelle: ovvero che a dei versi non basta essere scritti da Montale (non li ha pubblicati, infatti) per poter diventare meritevoli di una pubblicazione che oltrepassi l’interesse alla completezza filologica. Affascina però soprattutto, visto che a quanto pare il faldone di carte montaliane era stato donato al Centro Manoscritti nel 2004, domandarsi cosa facciano di preciso all’Università di Pavia, se per scoprire l’inedito è dovuta arrivare, vent’anni dopo, una studiosa dal Giappone.

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