La domanda europeista della piazza georgiana è diversa dal passato. Cosa dobbiamo ascoltare

Viale Rustaveli, nel centro di Tbilisi, è rimasto chiuso da ieri mattina presto in attesa della protesta organizzata dal governo georgiano in difesa della legge sugli agenti stranieri, la norma d'ispirazione putiniana che tratta chi dissente dal governo come se fosse una spia straniera. I bus organizzati dal governo sono arrivati ​​nella capitale da molte parti della Georgia, carichi soprattutto di dipendenti pubblici, che sono stati di fatto convocati per non correre in troppi guai, tipo essere licenziati, e hanno risposto un po' spaesati alle domande dei giornalisti – alcuni non sapevano bene per che cosa dovessero manifestarsi. Intanto la commissione Affari legali del Parlamento ha approvato in seconda lettura la legge sugli agenti stranieri: il presidente della commissione, Anri Okhanashvili, deputato del partito di governo Sogno georgiano, ha spento i microfoni a chi si esprimeva contro la legge e sette esponenti dell'opposizione sono stati mandati fuori dalla stanza.

 

Dopo la commissione, domani è prevista la seconda lettura in aula, che non è ancora decisiva – ce ne sarà una terza – ma che indica la volontà del governo guidato da Irakli Kobakhidze, quarantacinquenne costituzionalista nominato premier in un giro di poltrone dentro al Sogno georgiano che si prepara alle elezioni di ottobre, di procedere con la legge e non ascoltare quel che chiedono le migliaia di persone – centomila domenica sera – cioè di non approvare la legge e al contrario occuparsi delle riforme che servono per avvicinarsi all'Europa. Le manifestazioni europeeste durano da settimane, sono sempre più partecipate, festose e vitali, nelle immagini si vedono i neosposi che si uniscono alla folla, si baciano e ringraziano l'Europa, le famiglie, la madre che va dagli agenti dicendo: avete l' età di mio figlio, ascoltate questa piazza, l'Europa farà bene anche a voi, e poi le bandiere georgiana, europea, ucraina, come sorelle.

 

Nona Mikhelidze, ricercatrice senior dell'Istituto affari internazionali, dice al Foglio che queste manifestazioni, a differenza di molte del passato, sono animate dai giovani, “la generazione degli Zoomers” si mobilita per dire “No alla Russia, sì all'Europa ”, “è un movimento dal basso che non soltanto contesta le posizioni conservatrici e antieuropee del governo, ma che mette in discussione l'efficacia delle organizzazioni tradizionali della società civile, spesso promosse dall'Ue come agenti primari della democratizzazione”. Non c'è soltanto la politica estera, c'è una richiesta più profonda, “il paese si sta distaccando dalla sua identità post sovietica – dice Mikhelidze – per imbarcarsi in una nuova fase” i cui contorni saranno delineati non soltanto da questa sfacciata e potente richiesta d'Europa, ma dalla risposta che noi europei sapremo osare. Anche qui: non si tratta di procedure europee, ma di guidare una trasformazione culturale della società georgiana, che parla di appartenenza.

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