La Russia ha lasciato un fortino in Transnistria, lo usa contro Kyiv e contro Chisinau, ma quanto è propaganda e quanto una minaccia armata?
Sono trent’anni che la Transnistria si agita, trent’anni che dice di non volerne sapere di essere Moldavia, che sostiene di avere un legame privilegiato con Mosca, anzi di sentirsene parte, quasi di essere la sua storia in purezza, immutata, incontaminata. La Transnistria è internazionalmente riconosciuta come parte della Moldavia ed è diventata il centro delle attività di destabilizzazione del Cremlino rivolte sia contro l’Ucraina, che è confinante, sia contro la Moldavia, sia contro l’occidente. La Transnistria è immobile, al suo interno l’Unione sovietica sembra non essere mai caduta, carri armati e busti di Lenin si alternano a bandiere a strisce rosse e verdi con impressi in un angolo la falce e il martello. La regione dice di avere le sue istituzioni, che però si riuniscono di rado, e reclama come sua capitale Tiraspol, che di questo mondo è il centro, la città più importante, un suo stadio, lo Sheriff, una sua squadra di calcio, la Sheriff Tiraspol che per tutto il mondo è un club moldavo, per Tiraspol è transnistriano.
A Tiraspol ieri si è riunito per la settima volta in trent’anni il Congresso dei deputati denunciando l’urgenza di rispondere alla pressione economica esercitata dalla Moldavia per le nuove norme doganali. I deputati hanno stabilito che il modo migliore di rispondere fosse chiedere “misure protettive alla Russia”, che è lì che scalpita e sfrutta la regione per minacciare l’Ucraina da una parte e la Moldavia dall’altra: una nazione aggredita e una che ha la guerra a due passi. Il presidente della Transnistria, Vadim Krasnoselski, ha accusato il governo europeista moldavo di aver scatenato una guerra economica in grado di strangolare l’economia della regione e con l’intenzione di danneggiare la popolazione di lingua russa. Vi sembra tutto già visto? Forse intravisto nelle sedicenti repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, in Ucraina. Vladimir Putin utilizzò quelle accuse per dire che Mosca sarebbe andata ovunque nel mondo per proteggere i suoi cittadini: nel 2014 invase la Crimea, poi parti del Donbas, nel 2022 cercò di invadere tutta l’Ucraina. Ieri, dopo le richieste di Tiraspol, il ministero degli Esteri russo ha risposto che Mosca prenderà in considerazione l’appello dei residenti della Transnistria, che ha definito “nostri compatrioti”. Ma cosa ha chiesto davvero la Transnistria? Ha cercato attenzione internazionale anche spingendo nei giorni scorsi l’idea di un referendum sull’annessione alla Russia che, formalmente, ieri non è stato chiesto. Tiraspol ha detto di voler mantenere la pace, e nella dichiarazione finale invita non soltanto la Russia, anche Onu, Osce, Csi e Unione europea a intervenire contro la “pressione” della Moldavia.
Tiraspol ha le sue istituzioni, circa duemila soldati russi, che ora dicono di essere isolati. Ieri ha chiesto “protezione” a Mosca
La Russia rimasta. Mosca non ha mai smesso di usare la Transnistria come un punteruolo, ha mantenuto un legame particolare e utilizzato le zone nostalgiche dell’Unione sovietica per fomentare divisioni e mantenere il controllo. Il punteruolo russo in Transnistria vale moltissimo per rappresentare una minaccia permanente, ma non abbastanza, finora, per alzare l’allerta. Nella regione ci sono i soldati di Mosca rimasti dall’inizio degli anni Novanta con la scusa di dover lavorare per il mantenimento della pace e per sorvegliare il deposito di Cobasna che ospita ventimila tonnellate di munizioni sovietiche. Gli uomini dell’ottantaduesimo e del centotredicesimo battaglione motorizzati sono circa duemila e ora dicono di essere isolati perché non c’è modo di far arrivare nuove truppe da quando Mosca ha invaso l’Ucraina. Nel frattempo, la Transnistria è il deposito dell’energia della Moldavia e ha sempre utilizzato questa sua prerogativa sulle rive del fiume Nistro, da cui prende il nome, come arma di ricatto, tanto che nel 2022 Chisinau ricevette aiuto anche dall’Ucraina sotto attacco. Dumitru Minzarari, esperto di sicurezza presso il Baltic defence college, ci ha detto che la Transnistria ha un forte potenziale per destabilizzare la Moldavia e l’uso di questo potenziale dipende dalle volontà di Mosca che può scegliere, volendo, l’alta o la bassa intensità. Inoltre, la Moldavia non è l’Ucraina, è molto debole militarmente e secondo Minzarari ha una popolazione meno determinata a difendersi contro un eventuale attacco. Le truppe in Transnistria non sono molte, ma Mosca potrebbe usare gruppi armati: c’è anche il sospetto che a Tiraspol ci sia la Wagner. Dal 2022, la regione viene utilizzata da Mosca come una minaccia militare incombente e di fatto ha già aperto un fronte fatto di destabilizzazioni: basta contare le proteste.
Le loro belle macchine. Nelle manifestazioni pro russe che sono arrivate fino alla capitale moldava ci sono i cartelloni contro la presidente Maia Sandu e le immagini di alcuni politici moldavi vicini ad auto lussuose o in appartamenti eleganti e costosi: “Loro hanno milioni, noi moriamo di fame”, dicono le scritte. La contrapposizione tra la bella vita della leadership moldava – bella vita, intendiamoci: la Moldavia è tra i paesi più poveri d’Europa, il pil pro capite di un moldavo è un ottavo di quello di un francese, un terzo di quello di un romeno – e quella dei cittadini, fatta dai pro russi, stride enormemente con il leader del partito che più ha facilitato questa mobilitazione contro il governo europeista, quell’Ilan Shor che ha dato al partito il suo stesso nome, che è un oligarca, che si è rifugiato in Israele (ma che secondo l’Interpol non è più lì) e che è stato condannato per il suo coinvolgimento in un furto bancario da 1 miliardo di dollari, cioè una perdita per il sistema moldavo pari al 12 per cento del suo pil. Le proteste che vanno avanti da tempo non sono soltanto opera del partito di Shor – che è stato sciolto lo scorso giugno – ma anche del Movimento del popolo, una formazione nata nel 2023, che serve a togliere i riflettori sull’oligarca compromesso, a concentrare gli sforzi di destabilizzazione dopo che Shor è diventato incostituzionale, e che dice di essere il frutto di un’associazione di persone che vogliono cambiare il regime, in Moldavia naturalmente. Alle elezioni locali dello scorso autunno, che sono state interpretate come un test delle presidenziali che si terranno quest’anno, la Russia ha speso – secondo l’intelligence moldava – un miliardo di lei, circa 55 milioni di dollari, in una campagna di disinformazione e destabilizzazione contro esponenti dei partiti europeisti. I movimenti pro russi nascono in continuazione, sono ricchi e attivissimi, Chisinau ne vieta uno e ne rinasce un altro poco dopo. Lo stesso vale per i media: sei canali televisivi di proprietà o con legami con Shor sono stati sospesi a causa della disinformazione pro russa, così come venti siti di cosiddetta informazione legati alla Russia, ma la risposta è stata un video falso della presidente Sandu su Facebook in cui si dimette e dà il suo sostegno a un candidato pro russo. Il video è circolato moltissimo grazie a un investimento in promozione di duemila euro.
La nuova sfidante di Sandu potrebbe essere Irina Vlah, ex governatrice della Gaugazia, si dice filorussa e vicina all’Ue
Shor e gli altri, come i funghi. Ilan Shor è il più conosciuto dei leader pro russi che hanno come missione strappare la Moldavia dal suo percorso verso l’Europa. Classe 1987, nato a Tel Aviv e arrivato a Chisinau a tre anni, è sposato con una cantante russa e da sempre va orgoglioso del suo rapporto privilegiato con Mosca, che lo ha reso anche molto ricco, più di quanto già non fosse quando ha ereditato le aziende di suo padre che gestiscono duty-free e che operano nel real state (ha anche comprato una squadra di calcio, la Milsami). Dal 2019 non vive più in Moldavia, dove è stato condannato due volte, ma è il regista dietro la creazione di partiti pro russi e soprattutto al loro funzionamento grazie a un intricato metodo di cambi fittizi di proprietà e di rebranding. In questo modo, Shor, che è chiamato “il giovane dell’Fsb”, i servizi segreti russi, è riuscito a creare la rete che sostiene l’attacco permanente a Sandu e al governo, che reagisce anche con l’aiuto delle sanzioni europee e americane a Shor e ad altri oligarchi vicini al Cremlino, ma che deve fare i conti con molti altri problemi, ingigantiti dalla propaganda russa, soprattutto quello economico.
Il ponte contro Kyiv. Minzarari ci ha detto che la Transnistria può diventare un fattore di minaccia militare contro l’Ucraina e infatti nei piani originari del Cremlino c’era quello di congiungerla alla regione di Odessa, ma per farlo, i soldati russi sarebbero dovuti arrivare a Odessa e non ci sono riusciti. Mosca potrebbe non aver abbandonato questo piano, ma deve prima ricostituirsi militarmente e il contingente fermo in Transnistria non è in questo di nessun aiuto. Tuttavia, secondo l’esperto, la regione moldava può essere usata come diversivo per le forze ucraine. La presidente Sandu è sempre stata dalla parte di Kyiv, è stata in Ucraina, ha dato il suo sostegno, ma il governo ha spesso cercato di mantenere un rapporto cordiale con Mosca: nel 2021 una delle prima visite di Sandu fu proprio in Russia. La Moldavia ha sempre coltivato e tenuto molto alla sua neutralità, al suo spazio tra il Cremlino e l’occidente, ma dal 24 febbraio lo spazio della neutralità si è ristretto, nello stesso tempo, ha detto Minzarari, “il governo moldavo ha compiuto sforzi significativi per convincere le autorità russe che le sue aspirazioni di integrazione nell’Ue non rappresentavano una minaccia per gli interessi russi. E’ stato un tentativo ingenuo: gli interessi russi nei confronti della Moldavia significano proprio impedire a quest’ultima di integrarsi in occidente”.
Quando Maria Sandu fu eletta presidente nel 2020, sconfiggendo il presidente uscente filorusso Igor Dodon, a determinare la sua vittoria fu il voto della diaspora moldava: nelle città europee finirono addirittura le schede elettorali tanta fu l’affluenza. Approfittò anche dei voti di alcune formazioni filorusse che però votarono contro Dodon perché stanchi della sua corruzione e del suo nepotismo. Da quel momento, Sandu combatte: combatte contro le minacce russe (minacce anche alla sua stessa vita), ai soldi russi, alla rapacità russa. Ha chiesto la protezione dell’Europa e in cambio ha fatto i compiti richiesti dall’Unione europea per aprire il negoziato di adesione. In autunno ci saranno le presidenziali, quando si è ricandidata per un secondo mandato Sandu ha detto: la famiglia europea è la nostra garanzia per il futuro. Tra i suoi sfidanti potrebbe arrivare Irina Vlah, ex governatrice della Gagauzia, un’altra regione della Moldavia che ha origini legate alla Turchia e che finora ha sempre manifestato un consistente sentimento filorusso. Vlah parla russo, ha pubblicato un libro in cui dice che la politica è il suo mestiere, ha lanciato una campagna populista sin dal nome, “la voce del popolo”, raccoglie le lamentele dei moldavi e sta cercando di miscelare la sua simpatia per Mosca con un avvicinamento all’Ue. Si fatica a trovare la coerenza tra le due posizioni. Sulla posizione di Sandu invece non ci sono dubbi e intanto ha chiesto al Parlamento di prepararsi per organizzare un referendum, vuole che i moldavi si contino, dice che non ha dubbi che la possibilità di entrare nell’Ue, il sogno europeo, è più forte di tutto, della propaganda russa, delle minacce, delle interferenze. Gli ucraini ci hanno detto che è anche più forte delle bombe.