L’Assemblea nazionale mette in Costituzione l’aborto: un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata. Che infinita vergogna, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso
Maggioranza schiacciante, appena due dozzine di no, l’Assemblea nazionale francese mette in Costituzione la ghigliottina per i bambini concepiti ma non ancora nati, l’aborto o interruzione volontaria di gravidanza. Questo sarebbe il compimento della patria rivoluzionaria dei diritti, sotto l’egida (e mi dispiace ma era prevedibile) di un presidente che non osa dirsi liberale ma in economia e società lo sarebbe pure, salvo allearsi con la più massiccia, travolgente ondata di conformismo lugubre e trasversale, niente più distinzioni politiche o ideologiche o culturali, niente discussione, si fa perché si può, si deve perché il corpo è mio, anche quello di un altro che ho concepito io con l’aiuto determinante e condiviso, come si dice ora, di un maschio, sotto lo schermo ormai evanescente del piacere e dell’amore. Se in Francia fosse sopravvissuto, oltre il velo della chiacchiera intelligente, un poco del potente e amaro moralismo del Grand Siècle, del Seicento, i deputati di Palais Bourbon avrebbero saputo che questo premio alla filosofia dei diritti cosiddetti è solo un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata, obbligata.
La Rochefoucauld: “L’amor proprio è amore di sé e di ogni cosa per sé; rende gli uomini idolatri di sé stessi, e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi; non indugia mai fuori di sé, e si sofferma su argomenti estranei come le api sui fiori, per trarne ciò che gli è necessario. Nulla è più impetuoso dei suoi desideri, nulla è più segreto dei suoi progetti, nulla più astuto della sua condotta; le sue sottigliezze non si possono descrivere, le sue trasformazioni superano quelle delle metamorfosi, le sue finezze quelle della chimica. Non si possono sondare le profondità né penetrare le tenebre dei suoi abissi. Là è al riparo dagli occhi più perspicaci; egli vi compie mille giri viziosi. Spesso è invisibile anche a sé stesso, vi concepisce, vi nutre, vi alleva, senza saperlo, un gran numero di affetti e di odi; ne forgia di così mostruosi che, quando vengono alla luce, li rinnega o non può risolversi ad ammetterli”.
L’idolatria di sé stessi, il maschio irresponsabile e complice e la femmina che si fa vittima e carnefice della sua libertà, la Costituzione che taglia ogni obiezione di coscienza possibile, stabilisce anzi l’obbligo di coscienza a uccidere futuro e sopravvivenza, una metamorfosi dell’orrore, un cinismo e un desiderio spietati di appagamento a spese della vita, impetuoso, segreto, astuto, sottile, chimico, carico d’odio, vizioso, invisibile anche a sé stesso: tutto è già stato scritto, mancava solo la sanzione costituzionale in nome della fraternità, dell’eguaglianza e naturalmente della libertà. Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato, l’intendance suivra.