Farmaci antipubertà e chirurgia non convincono più neanche in America. Parte della classe medica comincia a mobilitarsi contro l’approccio affermativo
Un bel giorno – profezia della femminista americana Lisa Michele – guarderemo ai trattamenti ormonali sui minori “trans” come a uno dei più grandi scandali della storia della medicina, paragonabile alla lobotomia negli anni ’40-’60. Forse il giorno si avvicina. Il vento europeo si sta facendo sentire anche negli Stati Uniti e l’impero trans traballa.
L’Endocrine Society ha recentemente ribadito al Wall Street Journal che farmaci antipubertà e chirurgia – terapia affermativa – restano l’opzione migliore per i ragazzi con disforia di genere, promuovono la loro salute mentale e riducono il rischio di suicidio. Durissima la replica di una ventina di esperti da tutto il mondo: non esistono evidenze scientifiche che fondino queste affermazioni: “Al contrario, i rischi sono significativi e comprendono sterilità, dipendenza permanente dai farmaci e il possibile pentimento. Per questo – si dice – sempre più paesi europei e organizzazioni professionali internazionali raccomandano la psicoterapia”. Strada indicata anche dalla psichiatra newyorchese Miriam Grossmannel recentissimo Lost in Trans Nation: A Child Psychiatrist’s Guide Out of the Madness: con un buon trattamento psicologico questi ragazzi “possono rallentare il loro ritmo sulla catena di montaggio che porta al danno; alcuni addirittura scendono”. Ma, avverte Grossman “quando un giovane ha giurato fedeltà agli Articoli di fede che sanciscono l’identità di genere come sacra e proibiscono qualsiasi domanda, la sfida che devono affrontare genitori e terapeuti è brutale. Non possono tollerare i dubbi che semino”.
Non c’è posto per i dubbi nemmeno nell’Associazione dei pediatri americani: nessuno studio, sottolinea il presidente Benjamin Hoffmann, ha dimostrato che la “terapia affermativa” riduca i rischi di suicidio. Se l’ideazione suicidaria è più alta nei giovani trans, l’effettivo tasso di suicidi poi equivale a quello tra i minori non trans. Ma ogni richiesta interna di discussione finora è stata bloccata.
In un editoriale, il direttore del British Medical Journal Kamran Abbasi ha messo a tema le differenze di approccio alla “disforia” minorile tra Stati Uniti ed Europa a cominciare dai pionieri “pentiti” Regno Unito, Svezia e Grande Nord. Ma per buona parte dei medici americani, le preoccupazioni degli europei sono solo fisime bigotte da destra cristiana.
Acque trans-agitate anche in Australia: l’Abc ha recentemente messo in onda il cartoon “Sapphire, A Transgender Child”, storia di un maschietto decenne in attesa di ricevere i puberty blocker al Queensland Children’s Hospital “per mettere in pausa il suo corpo dal crescere come lui non vuole”. Gli australiani non l’hanno presa bene (la maggioranza dell’opinione pubblica occidentale tira il freno a mano). “Mio figlio ha dieci anni. Sto facendo del mio meglio perché sappia che i bambini non possono nascere nel corpo sbagliato”, twitta uno spettatore. E un altro: “Sembra un tentativo di aggirare i genitori per parlare con bambini prepuberi e suggestionabili”.
Anche lì parte della classe medica comincia a mobilitarsi contro l’approccio affermativo: Dylan Wilson, pediatra di Brisbane, ha scritto alle autorità sanitarie del Queensland chiedendo una moratoria sui farmaci per valutarne scientificamente l’efficacia; Philip Morris, presidente della National Association of Practicing Psychiatrists, ha dichiarato a Sky News Australia che i farmaci hanno dimostrato “gravi effetti collaterali” e che vanno usati con la massima cautela. Ma le autorità sanitarie hanno respinto ogni richiesta di revisione.
Ultima dal fronte: in Germania, il ministero dell’Interno ha bloccato last minute il progetto di legge sul self-id, molto simile a quella terribile Ley Trans che sta costando carissima a Pedro Sánchez.