I missili Taurus promessi a Kyiv, l’ascesa (di nuovo) dell’AfD, gli scioperi e le proteste. Cronache tedesche, pensando alle europee e alla memoria
Tori e manifestazioni, manifestazioni e tori: guardando le immagini che arrivano dalla Germania, la sintesi è questa. I tori sono i Taurus Kepd-350, missili aria-terra a lunga gittata e tecnologia stealth che li rende difficili da intercettare, prodotti dalla Germania in una joint venture con la Svezia: Berlino li aveva promessi all’Ucraina, ma poi non li ha consegnati e questa settimana al Parlamento tedesco la coalizione semaforo al governo ha votato contro una mozione dei cristianodemocratici per l’invio. Come era accaduto con i carri armati Leopard, i tori delle immagini non sono i missili, ma tori inferociti, tori in corsa, tori pronti a spianare mezzi militari russi, tori decisi ad andare in Ucraina ad aiutare la difesa degli ucraini, se solo il cancelliere Olaf Scholz lo permettesse: liberate il toro. Poi ci sono le manifestazioni: quelle degli agricoltori, che stanno crescendo in tutta Europa e che nascono, almeno in Germania e nell’epicentro francese, dall’aumento del prezzo del gasolio agricolo; e le grandi manifestazioni contro l’estremismo di destra che si sono tenute nel fine settimana e che hanno portato il dibattito a un nuovo livello: si possono bandire i partiti politici legati al nazismo? O più in generale: quanto è democratico abolire un partito? La discussione è più sofisticata di così ma non bisogna dimenticare che avviene – proprio come quella sui tori – in un momento di grande impopolarità di Olaf Scholz, con la destra estrema che si risolleva in Germania (soprattutto dell’est, dove si vota a settembre) e in tutta Europa (dove si vota a inizio giugno). Ogni settimana si forma una nuova teoria su come il cancelliere sarà costretto alle elezioni anticipate o dai suoi compagni di coalizione o dall’opposizione cristianodemocratica o dagli agricoltori o da qualche altro impiccio. E quel che stupisce, ancora e ancora, è la calma di Scholz, quasi non fosse per nulla preoccupato: è deciso a fare per l’Ucraina quel che gli altri europei non fanno; è deciso a fare per Israele quello che gli altri europei non fanno; è deciso a gestire la crisi fiscale e la recessione, queste sì ben più profonde e forse vere degli allarmi sull’imminente caduta del governo.
#FreeTaurus. La Germania è diventata il paese che, dopo l’America, più sostiene l’Ucraina e lo ha fatto presente agli alleati europei, in particolare alla Francia che reagisce alle punzecchiature tedesche come a nient’altro e infatti ha cominciato ad annunciare nuove armi per Kyiv, mentre continuano le pressioni a Bruxelles sull’Ungheria per sbloccare gli aiuti finanziari. A Berlino però c’è il guaio Taurus. La stessa riluttanza, poi superata, che c’era stata con i carri armati Leopard si sta riproponendo con i missili a lungo raggio, per ragioni strategiche – sono missili che possono colpire il territorio russo – e per ragioni di produzione – non sono pronti. La seconda ragione è stata smentita da un produttore di Taurus che ha detto che si può accelerare la produzione, che ci sono 600 sistemi Taurus disponibili, per la metà perfettamente operativi, gli altri devono essere certificati, ma non è arrivato il mandato del governo. L’esitazione di Scholz fa infuriare gli ucraini ma anche molti tedeschi che restano favorevoli al sostegno dell’Ucraina: secondo alcune analisi, il cancelliere vuole aumentare gli aiuti finanziari e umanitari più che militari – convincendo anche il premier ungherese Viktor Orbán sempre di traverso: fu Scholz che a dicembre chiese a Orbán di lasciare la stanza dove si è presa la decisione storica di aprire i colloqui di adesione dell’Ucraina all’Unione europea – ma le sue ragioni non convincono nessuno, ancor più perché la sua retorica è limpidissima sulla necessità di vittoria con Vladimir Putin: senza armi, difficilmente può essere conquistata, gli effetti delle forniture a singhiozzo già si vedono, e gli ucraini pagano tutto il costo umano.
Le manifestazioni contro l’estrema destra e il dibattito sui partiti che devono rispettare i valori democratici tedeschi
Il partito bandito. Un’indagine di Correctiv, un gruppo di giornalisti d’inchiesta che ha sede a Essen, ha portato in piazza centinaia di migliaia di tedeschi nel fine settimana scorso. Correctiv ha svelato che ci sarebbe stata una riunione segreta a Postdam tra estremisti di estrema destra e politici dell’Alternative für Deutschland (AfD), partito di estrema destra (alleato con la Lega in Europa) in cui è stato discusso un piano di deportazioni forzate che a molti ha riportato alla memoria l’inizio del nazismo. Tra i partecipanti c’è l’austriaco (il fatto che sia austriaco non è secondario per i tedeschi) Martin Sellner, leader del Movimento identitario; alcuni esponenti dell’AfD; alcuni imprenditori (c’era parallelamente un fundraising dai contorni poco chiari); e due membri della Junge Werte Union, un neopartito formato da Hans-Georg Maassen, l’ex capo dell’intelligence interna tedesca con legami con l’estrema destra. L’inchiesta ha portato a grandi manifestazioni in molte città tedesche, con le solite polemiche sui numeri dei partecipanti cui s’aggiunge un tropo ereditato dal trumpismo, cioè contestare le foto “manipolate” (i fact checkers hanno fatto il loro mestiere e sono risultate false le rimostranze dell’AfD, non le foto). C’era moltissima gente: la paura dell’estrema destra è grande in Germania, l’ambizione di prevenire tutto ciò che può assomigliare all’orrore del nazismo è forte. La Corte di Karlsruhe ha deciso in settimana di togliere l’accesso ai fondi pubblici a Heimat, Patria, una formazione paranazista, perché è una minaccia “all’ordine democratico di base” su cui si fonda la Germania. Il Parlamento aveva già cercato di bandire la formazione nel 2003 e nel 2017, senza riuscirci: la Corte apre la via non a un divieto ma a una limitazione all’accesso ai fondi pubblici – sostanziali per i partiti tedeschi – se non si rispettano i valori democratici, che per quel che riguarda l’AfD non sarebbe certo un’estromissione come vogliono fare credere loro, ma eventualmente una sanzione.
Un caffè forte. Il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, ha detto a Davos che la Germania è il “tired man of Europe”, il paese stanco, affaticato, “che ha bisogno di un caffè forte”: l’anno scorso l’economia tedesca si è contratta dello 0,3 per cento, le previsioni sono di stagnazione. Il freno al debito, che limita l’ammontare di nuovi prestiti che la Germania può fare, è tornato in vigore quest’anno dopo essere stato sospeso durante la pandemia, ma il governo è stato recentemente costretto a tagliare 17 miliardi di euro di spesa pianificata dopo che la Corte di Karlsruhe ha bocciato i fondi fuori bilancio che erano stati creati per aggirare il freno al debito. Per questo Lindner dice che servono le riforme strutturali, ma intanto iniziano i tagli: ai sussidi per gli agricoltori, che aspettano Lindner ovunque vada per fischiarlo; o ai dipendenti pubblici, che sono in perenne sciopero. Si va da una crisi all’altra, dicono i commentatori: cosa avrà Scholz da mostrarsi così tranquillo, soprattutto adesso, a pochi mesi dal voto?
Non siamo malati, siamo affaticati, dice il ministro delle Finanze, proponendo un caffè. I fischi degli agricoltori
Le europee. I sondaggi in vista delle europee danno la Cdu (assieme alla Csu) oltre il 30 per cento, l’Spd e i Verdi entrambi al 14 per cento, i Liberali a una cifra attorno all’8 e l’AfD oltre il 20 per cento. Anche negli anni passati, prima degli appuntamenti elettorali, l’estrema destra era molto alta nei sondaggi e poi non lo è stata altrettanto nelle urne, ma oltre il 20 per cento, con l’Spd e i Verdi così bassi, è una situazione peculiare, anche perché nel frattempo sono nati nuovi partiti che potrebbero alterare ulteriormente i calcoli. La campagna elettorale della coalizione semaforo dovrà essere particolarmente accorta al fuoco amico oltre che alla risorgenza dell’estremismo di destra in tutta Europa, come segnalano i sondaggi. Poi per la Germania c’è anche la questione Ursula von der Leyen e la sua candidatura a guidare per un secondo mandato la Commissione. Secondo molti, la von der Leyen non si candiderà alle elezioni ma come Spitzenkandidat – l’annuncio è previsto a febbraio, a un evento in Germania. Ma che rapporto c’è tra Scholz e von der Leyen? Miriam Hartlapp, che insegna politica franco-tedesca comparata all’istituto Otto Suhr della Freie Universität, ci ha detto che “si conoscono bene grazie ai loro incarichi precedenti. Lei è stata ministro della Difesa nell’ultima grande coalizione che lui ha guidato come vicecancelliere. In termini di politica di partito, hanno posizioni diverse, ma io non sono a conoscenza di simpatie o antipatie personali”. La collaborazione tra i due si è vista bene anche da Bruxelles dove anzi è sembrata eccessiva, visto che molte decisioni della von der Leyen sono state prese rispettando non soltanto la volontà di Berlino, ma spesso anche i suoi tempi. La professoressa Hartlapp presume anche che Scholz “sosterrà il suo partito e il suo candidato principale, l’ex commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari sociali Nicolas Schmit, nella campagna elettorale per il Parlamento europeo. Poi come membro del Consiglio europeo, Scholz nominerà il presidente della Commissione e, a seconda della maggioranza al Pe, è ipotizzabile un sostegno per il rinnovo del mandato della von der Leyen”, ammesso che si sia candidata.
C’è una ragione se Scholz rimane tranquillo, e sta proprio nella fiducia per il suo paese, che oggi vediamo stranamente litigioso, insolitamente furioso, testardamente scioperante. La Germania è di certo il paese più colpevole di ogni tragedia della Seconda guerra mondiale, ma è anche quello che ha deciso di ricordarsi sempre cosa aveva fatto. Nessuna scusante, nessun balsamo, nessun placebo: dobbiamo guardarci allo specchio come carnefici, chiedere perdono e ricordarci sempre cosa siamo stati. Non ci sono paesi europei che hanno fatto su se stessi un simile lavoro, nessuno aveva generato quel male, ma nessuno ha costruito la propria democrazia con la maturità che serve per chiedere anche scusa. Certo, non era semplice per gli altri tornare a fidarsi di Berlino, eppure è successo, e c’è un dato che mostra quanto il passato possa essere superato, ma a una condizione: che venga sempre ricordato. Dei 245.000 mila ebrei sopravvissuti all’Olocausto ancora in vita, 14.200 vivono in Germania. L’età media è di 86 anni e dopo le persecuzioni, la morte di familiari, la distruzione dei loro averi, le umiliazioni sono tornati in un paese che non soltanto aveva promesso al mondo che sarebbe cambiato per sempre, ma che sarebbe stato anche un argine nel futuro. Per farlo ha usato una formula magica semplicissima, ma dimenticata da molti per un paradosso: la memoria.
(ha collaborato da Berlino Daniel Mosseri)