Cosa rischia la Francia con il voto di fiducia sul piano di tagli da 44 miliardi

Il primo ministro Bayrou sfida il Parlamento con una manovra impopolare che potrebbe far cadere il governo. Macron osserva, ma non arretra. Le mosse dei partiti e le possibili ambizioni del premier in vista delle presidenziali del 2027

Il primo ministro francese François Bayrou ha deciso di porre la fiducia sul piano di tagli alle spese da 44 miliardi annunciato per la prossima legge finanziaria. Questa mossa, concordata con il presidente Emmanuel Macron durante un incontro giovedì scorso, intende puntare il dito contro i gruppi parlamentari che rifiutano di rispondere all’allarme sullo stato dell’indebitamento francese. Il voto si terrà l’8 settembre.

Bayrou ha sempre insistito sulla necessità di vigilare sulla situazione delle finanze pubbliche. Tuttavia, questa problematica, resa concreta da un debito passato negli ultimi 20 anni dal 60 per cento al 113 per cento del pil, appare distante alla maggior parte della popolazione. Già nei giorni scorsi si erano sollevate critiche contro la possibile soppressione di due giorni di ferie, e si prevede una forte mobilitazione sociale per lo sciopero previsto il prossimo 10 settembre.

Bayrou non voleva fare la fine di Barnier, costretto a barcamenarsi per poi essere censurato. Si tratta però di una mossa politica che appare piuttosto azzardata. Le prime dichiarazioni delle forze politiche lasciano pensare che il governo verrà sfiduciato. Le reazioni della France Insoumise, il partito di Mélenchon, e del Rassemblement National sono state di totale rigetto. Ma anche alcuni leader del Partito Socialista hanno dichiarato che il loro movimento è orientato a votare la mozione di censura.

Bayrou è a capo di un governo di minoranza e ha bisogno di alcune decine di voti supplementari per raggiungere la maggioranza in Parlamento, oppure di sufficienti astensioni per abbassare il quorum.

Possiamo osservare alcune tendenze significative. Il Rassemblement National intende cavalcare l’onda della protesta per respingere il principio stesso di un bilancio contenuto, senza nemmeno discuterne i vari capitoli. Ritiene di poter sfruttare questa postura, che però mette a rischio il lavoro di costruzione di rispettabilità governativa. Anzi, spera in un eventuale scioglimento delle Camere per vincere le elezioni politiche, ipotesi che Macron non sembra voler considerare al momento.

Malgrado le incertezze sul destino politico di Marine Le Pen, ancora appeso a potenziali giudizi di ineleggibilità, non sembrano esserci tensioni strategiche interne, e Bardella avrà comunque tutto il tempo di imprimere un proprio ciclo politico al partito. Inoltre, l’ascesa del ministro dell’Interno Retailleau come leader della destra governativa crea pressione sul RN, che spera così di arginare il ritorno di una divisione bipolare tra destra e sinistra.

Il Partito Socialista rappresentava la stampella che poteva reggere l’attuale governo, ma rimane sensibile sia alla pressione della sua base in subbuglio, sia alla logica di unione della sinistra dalla quale non sembra voler uscire per ora. Inoltre, il dialogo tra Bayrou e i socialisti sulle misure di bilancio non è mai veramente decollato, e i socialisti si sentono presi in giro da un governo che chiede loro un appoggio salvatore a scatola chiusa.

Va anche ricordato che i socialisti hanno sempre rimproverato Macron per non aver dato la possibilità a una figura di sinistra di guidare il governo, alla luce dei risultati delle elezioni politiche dell’anno scorso. Ritengono che la desistenza tra sinistra e destra moderata, che ha permesso di fermare l’ascesa del RN, avrebbe dovuto tradursi in una formula di governo più aperta a sinistra — e non in esecutivi segnati a destra, come quelli guidati da Barnier o Bayrou.

Si può anche ipotizzare una strategia personale da parte di François Bayrou: lasciando il governo in modo dignitoso, di fronte al rifiuto delle forze politiche di adottare un riformismo ritenuto necessario da molti, egli potrebbe ritagliarsi il ruolo di “padre nobile della patria” e coltivare la sua immagine di potenziale figura di riferimento per le elezioni presidenziali del 2027.

Una tale strategia potrebbe inoltre trovare un alleato in Macron, che non può candidarsi per un terzo mandato consecutivo, ma accarezza l’idea di un ritorno nel 2032, come evocato in una recente riunione con i giovani macronisti. A differenza di altri leader come Gabriel Attal o Edouard Philippe, Bayrou non sembra nutrire ambizioni oltre la prossima presidenziale.

È ovvio che, di fronte a quest’ennesima crisi, i mercati reagiranno con volatilità. La palla dovrebbe tornare a Macron, che dovrà designare un nuovo esecutivo: sebbene messo in minoranza in Parlamento, il suo ruolo è stato ridimensionato solo in parte, e lui coglie ogni pretesto per riaffermare la propria centralità nel gioco politico.

Questa situazione illustra bene i limiti attuali del presidenzialismo francese, con un capo di stato troppo vincolato al suo ruolo di leader di una coalizione. Dopo le ultime elezioni politiche, si era ipotizzata un’evoluzione all’italiana del ruolo di Macron, rimasto senza maggioranza al seguito di una dissoluzione piuttosto avventata. Ma la sua indole, sia personale sia istituzionale, ha presto ripreso il sopravvento — anche per le esigenze poste dal difficile contesto internazionale.

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